Il dramma dei Teatri privati: “Nessuna data di riapertura. Rischiamo di soffocare”

Michele Gentile (Ass. Produttori Privati) a Interris.it: "Al governo chiediamo un cronoprogramma che possa garantirci di sopravvivere"

Incoraggiamenti, spettacoli improvvisati, anche qualche bella iniziativa online. Tutto bello ma niente che potesse sostituire il bisogno del pubblico. Il settore artistico ha sofferto la crisi, come gli altri, certo, ma con un “carnet” di incertezze legate non solo al sostentamento nel periodo di inattività ma anche sulla reale ripartenza. Questo perché il filo rosso fra artista e pubblico non è solamente necessario alla buona riuscita dello spettacolo ma, in molti casi, a garantire la sopravvivenza dello spettacolo stesso. Da qui la decisione dall’ANET – Associazione Nazionale Esercizi Teatrali e dall’ISP Imprese Stabili di Produzione, di rivolgersi direttamente al Ministero dei Beni culturali attraverso una petizione (con più di 3 mila firme) indirizzata al ministro Franceschini e pensata come un appello di sopravvivenza: “Chiediamo al governo un cronoprogramma che ci consenta di sapere almeno orientativamente una data di apertura – ha spiegato a Interris.it Michele Gentile, presidente dell’Associazione Produttori privati -. Altrimenti per tante realtà sarà troppo tardi”.

 

Presidente Gentile, il Paese sta ripartendo dopo quasi tre mesi di lockdown ma alcuni settori sono ancora in attesa di conoscere il proprio destino. I teatri privati, per loro natura, hanno sofferto forse più di altri la crisi delle attività e rischiano tuttora di vederla prolungata a data da destinarsi. Qual è la situazione?
“Sia i Teatri che le compagnie private, vivono in parte con i finanziamenti pubblici ma per l’80% con i ricavi, dalla vendita degli spettacoli e dal botteghino. In questa situazione siamo quindi particolarmente penalizzati. Le stesse apertura di teatri con capienze di 300 posti non permettono a noi di riprendere l’attività, perché la curva economica è troppo stretta. Chiediamo innanzitutto di concordare con il governo un cronoprogramma che stabilisca quando sarà possibile la riapertura di teatri con capienze più elevate, seppur con mascherine e tutti gli accorgimenti necessari. Chiaramente dipende tutto dalla curva del contagio ma, sperando che le cose vadano bene, che ci dicano più o meno quando si può riaprire, così che anche noi siamo in grado di riprogrammare il nostro lavoro. Anche perché gli spettacoli vanno provati, vanno impegnate le persone, c’è bisogno di una tempistica… In questo momento è tutto subordinato all’andamento del virus. Ma un’idea di massima dobbiamo farcela”.

Attorno al settore teatrale orbitano naturalmente tantissime categorie professionali, per le quali lo stop è stato totale in questi mesi. Per loro sono stati adottate le misure garantite per il superamento della crisi?
“I provvedimenti sono stati adottati, sia la cassa integrazione, che in alcuni casi arriva con ritardo, il bonus di 600 euro, inizialmente previsto per gli attori che nei 14 mesi precedenti allo stop avevano 30 giornate lavorative ma che per aprile e maggio è stato abbassato a 7. Si sta provvedendo, nei prossimi giorni, ai contributi del Fondo unico dello spettacolo, stanziati già precedentemente al virus. Il problema del teatro privato è che se non ha contributi a fondo perduto diventa dura riaprire. Tenere l’equilibrio nei bilanci quando viene a mancare un milione di fatturato diventa dura. Le aziende più grandi lavorano per 5-6 mila giornate lavorative l’anno, che hanno più di 100 dipendenti da 300-400 mila euro di contributi l’anno: sono quasi medie imprese. Hanno bisogno, per la ripartenza, di avere un aiuto particolare, altrimenti è un mondo che rischia di rimanere soffocato”.

Un intervento tempestivo potrebbe garantire la sopravvivenza del settore o per qualche contesto più in difficoltà potrebbe essere già troppo tardi?
“Ora stiamo interloquendo con il governo, speriamo che queste nostre esigenze vengano tenute in considerazione. Mi pare che ci sia un’apertura ma il problema è anche la tempestività di queste operazioni, perché più passa il tempo e più diventa complesso. Per noi produttori ma anche per le tante persone che lavorano con noi: a prescindere dei tanti attori famosi che hanno firmato con noi l’appello, ci sono attori comprimari, maestranze, tecnici che aspettano un nostro segnale. Credo sia giusto, in questo momento, tenere in considerazione le nostre attività da parte del Ministero”.

L’appello inoltrato al Mibact ha impresso un’accelerata perlomeno nella presa di coscienza del problema? Oppure c’era già un dialogo in atto con le istituzioni preposte?
“Stavamo già discutendo ma questo appello ha impresso un’accelerazione. Abbiamo fatto già la scorsa settimana un incontro con il direttore generale e il segretario generale del Ministero, abbiamo cominciato a pensare quali possono essere i provvedimenti, e speriamo che tutto accada con una certa velocità. Abbiamo problemi che hanno anche altre imprese, come quelle turistiche e di ristorazione, che sono molto simili a noi da questo punto di vista”.

Anche altri settori hanno visto postdatata la loro ripresa effettiva ma un contesto come il teatro privato rischia di subire difficoltà estreme con una prolungata inattività. Ritiene che il ritardo possa essere dovuto a una questione di sicurezza legata agli ambienti e ai possibili assembramenti?
“Chiaramente c’è una certa difficoltà nel mettere insieme le persone. E’ anche vero che sembra che la situazione stia migliorando nel Paese. Non chiediamo di tornare dall’oggi al domani a una situazione come quella di prima. Una riapertura a 200 posti per noi è impossibile, non avremmo la possibilità economica di rifarci nemmeno della metà delle spese. Chiediamo di avere un cronoprogramma, che ci dica quando pensano, ammesso che le cose vadano bene, di riaprire i teatri con una capacità se non massima molto vicina a quegli standard. Noi, a differenza del teatro pubblico, viviamo fondamentalmente sugli spettatori che vengono a vedere lo spettacolo. Senza di loro siamo in default”.

Alla luce di questo, quali sostegni chiedete, in concreto, attraverso l’organizzazione di un cronoprogramma verso la riapertura?
“Sperando che in autunno inoltrato riaprano i teatri, oltre agli aiuti preventivati già stanziati da vari decreti arrivi un contributo a fondo perduto con i fondi di emergenza per tenere in piedi le nostre attività. Un’altra cosa che abbiamo chiesto, che ci sia una detrazione fiscale fino a 500 euro per chi acquisterà i biglietti per la prossima stagione. Può essere importante, perché può sopraggiungere una certa difficoltà. Non solo bisogna riaprire ma anche incentivare le persone a tornare in teatro e questo può essere un modo per riavvicinare il pubblico dopo questo grande spavento. Chiediamo di avere la considerazione, perché gli operatori che gravitano attorno a noi e da noi aspettano risposte. E quindi vorremmo non morire, perché il rischio c’è che, ancora qualora si riapra, non saremo in condizione di mettere in piedi i nostri spettacoli. Per questo stiamo cercando di sensibilizzare sia governo che opinione pubblica su queste problematiche”.

Forse è qualcosa che si tende a sottovalutare ma, in una fase di ripartenza dopo un periodo così difficile, il contributo dell’arte può diventare fondamentale…
“Dell’arte ma anche della socialità, dello stare insieme in maniera intelligente, per poter riflettere. E’ chiaro che lo spettacolo dal vivo si sviluppa con un’empatia particolare che si crea in sala fra attore e spettatore. Ben vengano le forme sperimentate durante l’emergenza, cose utili ma che non possono sostituire il teatro. Non per nulla si chiama ‘dal vivo’: se non si ricrea questo clima la vita del teatro diventa molto complicata per farla ripartire”.