La difficile realtà dei “meninos de rua” in Brasile

Essere bambini di strada in Brasile significa rischiare di andare incontro a una moltitudine di pericoli: dallo sfruttamento a fini sessuali alla manodopera infantile

riconciliazione

Meninos de rua, frase dal suono dolce (come può esserlo solo la lingua portoghese) per indicare però un fenomeno devastante che colpisce i più fragili della società brasiliana: i bambini di strada delle favelas (le baraccopoli) del Brasile.

Essere bambini poveri in Brasile significa rischiare di andare incontro a una moltitudine di pericoli: dallo sfruttamento a fini sessuali alla manodopera infantile, senza contare l’analfabetismo, le malattie e la fame.

I meninos de rua, spesso orfani o abbandonati dalle loro famiglie d’origine, sopravvivono dedicandosi all’elemosina o all’accattonaggio, ma la loro aspettativa di vita – tra delinquenza, sfruttamento, malattie e droga – è bassissima: in pochi arrivano alla maggiore età.

Un’altra causa alla radice del fenomeno dei meninos de rua è la violenza domestica. Bambini e adolescenti scappano da casa sia per motivi economici (l’estrema povertà della famiglia) sia per i conflitti familiari e le violenze che subiscono all’interno delle mura domestiche. La fuga da casa è così l’unica strada contro le percosse, le aggressioni e la reclusione.

Lo sfruttamento della manodopera infantile

Un’altra piaga che colpisce questi bambini è lo sfruttamento lavorativo. Bambini, anche piccoli, vengono impiegati per 10 ore al giorno in lavori usuranti e faticosi. Lo sfruttamento della manodopera infantile è una pratica diffusissima in diversi stati brasiliani tanto da essere considerata una cosa “normale” da molti nuclei familiari.

“In tutto il paese la manodopera infantile è sfruttata in modo indiscriminato. Vediamo bambini ai semafori, nelle discariche, nei mercati, ai ristoranti, impiegati in agricoltura, nelle aziende e perfino in casa. Anche lo sfruttamento sessuale è considerato un lavoro”. Lo racconta su Sempre Lia Queiroz, che da oltre 20 anni si spende insieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII per la tutela dei diritti dei bambini nello stato del Minas Gerais.

Minas Gerais è un grande stato del Brasile situato nella regione geografica del Sudeste. La capitale è la città di Belo Horizonte. Lo stato ha il 10,1% della popolazione brasiliana e produce l’8,7% del PIL nazionale.

Il fenomeno del lavoro minorile ha radici sociali e culturali. “Spesso — spiega Lia — sono i genitori stessi a far lavorare i figli perché contribuiscano alle spese familiari e lo fanno in maniera indisturbata visto che mancano politiche chiare a contrasto di queste violazioni. Purtroppo, i danni psicologici e fisici possono essere rilevanti. Assistiamo per esempio a un’innaturale inversione dei ruoli, per non parlare poi dei tanti bambini che rimangono mutilati a causa di incidenti sul lavoro o che vengono abusati”.

La pandemia di Covid ha reso i minori ancora più soli di fronte alla violenza, sia quella di strada, sia quella tra le mura domestiche. Secondo l’ultimo Annuario Brasiliano della Pubblica Sicurezza, infatti, nel 2021 sette bambini e adolescenti al giorno sono morti per cause violente. Si stima che le vittime di stupro di età compresa tra 0 e 17 anni siano state almeno 45.076. In aumento rispetto al 2020 anche le vittime di sfruttamento sessuale, che si attestano a 733.

“Capire il contesto di un abuso è come entrare in un labirinto. Rimanere distaccati è impossibile — ammette Lia — e durante questi anni ho incontrato tante violenze in ambito familiare, bambini trattati come merce, venduti in cambio di una televisione o di cibo”.

Abusi sotto gli occhi di tutti, eppure mai denunciati a causa dell’omertà generale. “L’omissione e la collusione sono diffuse, anche da parte dei genitori – prosegue Lia – In certi contesti di emarginazione l’uso del corpo dei bambini è normale, tanto che chi denuncia viene colpevolizzato. Si arriva così al paradosso per cui le vittime si sentono colpevoli”.

L’opera della Comunità Papa Giovanni XXIII in Brasile

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in Brasile è da 1991. Oggi, conta 5 case famiglia e 7 famiglie aperte oltre a centri diurni, centri per anziani e comunità terapeutiche. C’è anche una scuola per bambini sordomuti.

La Casa della Gioventù è un centro diurno, avviato nel 1997 a Itaobim (nello Stato del Minas Gerais) che fornisce un accompagnamento, un sostegno a bambini e giovani in situazione di rischio di emarginazione attraverso corsi artistico-ricreativi. Garantisce anche un sostegno alimentare tramite un pasto al giorno che per molti e l’unico che possono permettersi.

Fondamentale è anche il supporto psico-pedagogico per evitare che i bambini e i ragazzi cadano nel tunnel nella droga o vengano sfruttati nella prostituzione. Il centro offre formazione professionale e promuove piccole attività lavorative, come la coltivazione e la vendita di prodotti agricoli o l’avvio di iniziative artigianali. Sono circa 500 i minori e i loro familiari coinvolti in queste attività.

“Oltre ai centri — prosegue Lia — come Comunità facciamo parte del Forum statale per la difesa dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nell’ambito del progetto governativo Minas Gerais network affianchiamo inoltre cinque comuni nell’identificazione dei casi di violenza e nel recupero delle vittime”.

Il servizio anonimo Disque 100

In Brasile chiunque sia a conoscenza di un abuso commesso nei confronti di un bambino o di un adolescente può telefonare a Disque 100, servizio anonimo e gratuito gestito da operatori specializzati. Una volta ricevuta, la segnalazione viene poi inviata al pubblico ministero e al Consiglio Tutelare del comune di competenza che devono avviare le indagini e ufficializzare la denuncia.

“È uno strumento che funziona — commenta Lia —. Noi lavoriamo in centri per ragazzi a rischio e lo usiamo spesso. L’ultima volta abbiamo denunciato l’adescamento di ragazze adolescenti per scopi sessuali e abbiamo identificato i responsabili”.

“Il Consiglio Tutelare è un organo elettivo preposto alla protezione dei minori — spiega Lia — anche se non esiste in tutti i comuni e dove esiste non sempre lavora bene. Ecco perché tra i compiti che ci sono stati affidati come Comunità all’interno del progetto Minas Gerais network c’è quello di aiutare cinque comuni a crearlo e a formarne i consiglieri. Solo così potremo infatti avere la garanzia che le denunce vadano a buon fine”. 

La storia di Violeta, violentata a 10 anni

Una sfida impegnativa che però può salvare tante giovani vite. Come quella di Violeta, una ragazza di 25 anni che ha incontrato i volontari della Comunità Papa Giovanni a Itaobim quando era ancora una bambina.

“Dopo l’abbandono di mio padre – racconta a Sempre – io e i miei sei fratelli siamo rimasti soli con nostra madre disoccupata. È stato un periodo difficile: abbiamo patito la fame, la mancanza di una casa. La mia infanzia è stata rubata. A 10 anni subivo violenze sessuali. Pensavo di non valere niente, di non avere il diritto di essere felice. Grazie al supporto psicologico ho poi capito, con fatica, di non avere colpe e le mie ferite pian piano si sono rimarginate”.

Violeta è riuscita a ricostruirsi una vita: ha un compagno e tre figli e lavora come donna delle pulizie. Ha iniziato a partecipare attivamente a campagne di sensibilizzazione contro lo sfruttamento sessuale e la violenza sulle donne a Itaobim, la città in cui vive. “Lotto – dice – perché quanto accaduto a me non si ripeta”.

“A Itaobim (e non solo) – conclude Lia – monitoriamo da vicino le situazioni a rischio, partecipiamo alla stesura di norme di protezione e aiutiamo concretamente famiglie e i bambini. Ma soprattutto spieghiamo alle famiglie l’importanza di mettere al riparo i propri figli da situazioni malsane. Perché tutti i bambini hanno il diritto di vivere la propria infanzia in modo sereno e felice”.