Decluttering: analisi del fenomeno, conseguenze e soluzioni

Il consumismo stravolge il rapporto tra bisogni e beni, producendo ulteriore insoddisfazione; si rende necessaria una “dieta” materiale e mentale

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Il termine inglese “decluttering”, dal verbo “to declutter”, traducibile con “sgombrare”, “mettere in ordine”, si riferisce alla necessità di pulire i propri ambienti, eliminando oggetti inutili, pur di usufruire di maggiori e migliori spazi casalinghi. Nella società contemporanea, il ricorso a un lemma anglosassone sembra avere un peso diverso, come se, in questo caso, nobilitasse l’azione della pulizia sino a farla apparire una moda, una tendenza, addirittura una filosofia di vita in luogo di un pedante e noioso imperativo. Il disordine è anche frutto di pigrizia, di rimandare a un domani la risoluzione del problema. L’invito al decluttering, posto con quest’accattivante termine anglofono, può rappresentare un risveglio dall’indolenza e un incentivo all’azione.

La riluttanza nell’eliminare oggetti che non si usano o sono al limite del deterioramento, si poggia sul dubbio del “potrebbero sempre servire” o della paura del “gettarli è un peccato, uno spreco”. Probabilmente, una riflessione più attenta e razionale potrebbe convincere della possibilità di disfare, senza rimpianti. L’orientamento del conservare e del “potrebbe servire”, negli ultimissimi tempi sta conoscendo un atteggiamento critico e opposto.

L’ambiente in cui si vive rispecchia, in genere, la personalità dell’individuo e il legame potrebbe anche essere reciproco. La persona, infatti, può tendere ad assuefarsi a una situazione di ordine o, al contrario, di disordine. L’equilibrio, anche in queste circostanze, è d’obbligo. Senza rasentare, quindi, gli eccessi, assimilabili a un disturbo di accumulo o a un rigore fobico legato all’ordine minimalista o “spartano”, è possibile trovare una giusta via. A volte, si verifica un attaccamento morboso agli oggetti; si sviluppa un legame perverso, eccessivo che ricalca situazioni dell’infanzia. Alcuni seguaci del decluttering utilizzano dei sistemi molto rigorosi e “scientifici”, basandosi anche su conteggi relativi all’uso quantitativo di un bene o al tempo da dedicare alla pulizia, stilando tabelle operative molto dettagliate.

Erika Grazia Lombardo, professional organizer, è l’autrice del libro “La casa leggera”, pubblicato da “Rizzoli” nel luglio 2020. L’estratto recita “Impariamo a fare le scelte migliori per valorizzare gli spazi, a capire cosa tenere con noi e cosa lasciare andare, come instaurare le routine di decluttering e pulito che ci permettono di avere una casa viva, ma ben organizzata. Lo scopo non è quello di trasformare le nostre stanze in mausolei intoccabili, ma di recuperare l’ordine mentale che ci consente di vivere più serenamente. Senza dimenticare che la cura delle nostre mura passa anche dal rispetto per la natura”.

Federconsumatori, al link https://www.federconsumatori.it/spreco-alimentare-in-italia-ogni-cittadino-getta-piu-di-70-grammi-di-cibo-al-giorno/, il 10 febbraio scorso ha fornito un quadro degli sprechi alimentari e del rapporto con il superfluo da parte degli italiani. Fra i dati, si legge “Ogni cittadino italiano butta nella pattumiera più di 27 chili di cibo l’anno. Difatti, nonostante i risultati del suddetto studio abbiano rivelato che quest’anno si sia verificato un calo di circa il 12% della quantità di cibo ancora utilizzabile gettata nel nostro Paese (rispetto al 2022), si stima ancora uno spreco pari a oltre 9 miliardi di euro. […] La crescente sensibilità che inizia a manifestarsi sull’argomento è strettamente legata al caro vita che grava sul nostro Paese, ma è ancora lontana una vera e capillare diffusione di comportamenti virtuosi e sostenibili che hanno un impatto positivo sull’economia e sull’ambiente. Ma quali sono i beni più sprecati? Se il 26% dei consumatori sembra essere molto più attento a ridurre il consumo di prodotti più costosi, come la carne e il pesce, ancora troppo elevata è la percentuale di verdura (46%), frutta (40%), pane fresco (27%) e latticini (22%) che finiscono nella spazzatura. I dati fin qui elencati, relativi al mese di gennaio di quest’anno, evidenziano, inoltre, anche un divario tra nord e sud: nel meridione si spreca l’8% in più rispetto alla media nazionale”.

Togliere oggetti inutili per realizzare spazi più ampi e puliti è un’operazione che crea benessere, soddisfazione e conferisce fiducia nell’aver adoperato bene il proprio tempo, di essersi resi utili, a se stessi e agli altri che vivono nella casa. In alcuni casi, un ulteriore beneficio si può ricavare dalla soddisfazione di aver eliminato oggetti legati a periodi poco felici e in grado di generare tristezza. Lo spazio esteriore ha riflessi su quello interiore: una dimensione ottimale della casa predispone verso un approccio più sereno. Il decluttering si riferisce anche a un importantissimo aspetto mentale: ripulire la testa da tutti i pensieri inutili, da accumuli di livore e vendetta per far posto a nuovi sentimenti. Cuore e spirito, così, si riempiono di nuovi aspetti con una concreta possibilità di rigenerare la persona e di avvicinarla a nuove considerazioni. Si “butta” la persona vecchia per far posto alla nuova, sperando in un progresso della stessa.

La mente può essere considerata, quindi, come una casa in cui sono sistemati i pensieri, la memoria, le nozioni ed è opportuno distribuirle con attenzione, evitando sovraccarichi. In tal modo, è anche possibile ordinare le connessioni mentali e rivedere le giuste priorità, lungi da ogni confusione di idee. Liberarsi del superfluo può rappresentare anche una valida occasione per donare qualcosa a chi ne ha bisogno e, quindi, realizzare un beneficio per sé e per il prossimo. La consapevolezza di possedere in eccesso può essere riscattata con opere a favore di chi ne ha in difetto. Nel radiomessaggio dell’11 settembre del 1962, San Giovanni XXIII precisava “Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti. Questa si chiama diffusione del senso sociale e comunitario che è immanente nel Cristianesimo autentico; e tutto va affermato vigorosamente”.

La società moderna crea e distrugge: nel vortice frenetico e consumistico in cui i beni ruotano velocemente, alcune persone si trovano a loro agio e innescano un rapido processo sostitutivo, Altre, invece, non hanno quest’attitudine e accumulano sempre più sino a trovarsi, poi, nelle condizioni di dover smaltire. Si rincorre la perfezione anche nell’illusione di poter avere a portata di mano il tutto, e subito, per non poter recriminare. Tuttavia, a rigor di logica, l’eventualità di non disporre prontamente di un bene non sarebbe una colpa né una fattispecie irrecuperabile. Il consumismo, l’eccesso di acquisto e possesso di beni, genera anche questo tipo di problematiche sino a obbligare a una “dieta” per ridurre il peso e il volume del materiale. Il benessere materiale ha prodotto queste contraddizioni e ora, per trovare quello mentale, si invoca un “digiuno” e una svolta verso l’essenziale. Il mondo opulento vive di queste contraddizioni. Più si ha, più si è felici e insoddisfatti.