Covid-19 e clochard. Luca Fortunato (Apg23): “Non abbandoniamoli. Lo Stato si faccia prossimo”

Intervista a Luca Fortunato della Comunità Papa Giovanni XXIII. Con un rete di volontari è riuscito a rimanere vicino ai senza tetto e garantire loro un posto sicuro

Un pensiero per “coloro che sono senza fissa dimora affinché la società e, uomini e donne, si accorgano di questa realtà e li aiuti e la Chiesa li accolga”. Così Papa Francesco nella messa mattutina del 31 marzo scorso, celebrata a Santa Marta, aveva pregato per i senzatetto. Una preghiera che suona più come un appello a non dimenticarsi di quelle persone che la società considera uno scarto, relegati negli angoli delle strade e che molte volte non vengono degnate nemmeno di uno sguardo. Ma c’è chi della relazione e accoglienza con i clochard ha fatto la sua missione di vita. Luca Fortunato, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, è uno di loro. Nella sua casa, la Capanna di Betlemme di Chieti, apre le porte a quanti hanno bisogno di un tetto, di un letto, di un luogo sicuro dove poter relazionarsi con gli altri, lavarsi e dormire, ma soprattutto dove trovare una famiglia. In Terris lo ha intervistato.

Tu sei responsabile di una struttura dell’Apg23 chiamata Capanna di Betlemme. Chi sono le persone che vengono accolte?
“Sono senza fissa dimora, persone con sfratto esecutivo, papà separati e abbiamo degli appartamenti in cui ospitiamo delle famiglie che hanno problemi di disagio sociale ed economico”.

Nonostante l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus, continuate la vostra opera di incontro e accoglienza per i senza tetto. Come vi siete organizzati?
“Oltre che la Capanna, io seguo la tematica dei senza fissa dimora per l’Abruzzo. Da qualche giorno prima che l’Italia diventasse un’unica zona rossa, ci siamo messi in moto. Abbiamo fatto un’equipe di volontari in ogni comune dove c’è presenza di senza tetto. Ai volontari abbiamo chiesto che fossero single e non vivessero in famiglia per evitare, nel peggiore dei casi, il propagarsi del contagio. L’attività che abbiamo fatto si muove su due binari: in primis l’assistenza e poi ridurre la forbice di presenza dei clochard in strada. Abbiamo garantito la presenza in strada dei nostri operatori, tutti muniti dei dispositivi di protezione individuale. Il loro compito era incontrare i senza tetto e lasciare loro generi di prima necessità, come latte, merendine, succhi di frutta, latte, in modo da garantire loro un pasto, in quanto in un primo momento avevano chiuso anche le mense. Dall’altro lato abbiamo lavorato con le istituzioni: siamo riusciti a sensibilizzare i comuni che hanno datola disponibilità a pagare gli alberghi per i senza fissa dimora. Abbiamo inserito circa 15 persone. Ma avevamo bisogno di altri posti per questo abbiamo cercato degli appartamenti che abbiamo allestito per circa 10 persone. Inoltre, la Caritas di Pescara ha montato delle tende, in collaborazione con il Comune, in cui hanno trovato alloggio altre 15 persone. Ad oggi, che vivono in strada in tutto l’Abruzzo, sono circa 30 persone che continuano ad essere assistite da noi. Tra i senza fissa dimora, ad oggi non c’è stato nessun contagio. Qui alla Capanna di Betlemme, abbiamo trasformato la palestra in dormitorio e abbiamo potuto accogliere altre 10 persone in autoisolamento, che oramai, dopo 15 giorni è terminato. E’ stata importante la prima settimana, partire con telefonate, videoconferenze con le varie istituzioni ed enti per spiegare le necessità di queste persone. C’è stata una buona collaborazione e questo è buono. Noi vogliamo raccontare quello che facciamo per sensibilizzare altre persone, che magari potrebbero mettere in campo queste attività anche in altre città. Un grande grazie anche ai volontari che, nell’ombra portano avanti un lavoro incredibile, anche rischiando la vita”.

Non avete paura di essere contagiati?
“La paura c’è sempre, ma andiamo in strada con mascherine e guanti. Cerchiamo di stare molto attenti. I volontari sono tutti dei ragazzi molto giovani e generosi. Abbiamo un nostro protocollo per intervenire, abbiamo fatto anche formazione, stilando un po’ le regole per cui si poteva partecipare a questa attività. I volontari non sono tantissimi, sono quelli giusti, quelli che servono. Questo anche per non creare troppo assembramento”.

Di cosa hanno bisogno queste persone?
“Loro hanno molto apprezzato di non essere lasciati soli in questo momento così difficile. Parliamo con loro, gli chiediamo come stanno. Loro in questo momento non incrociano davvero nessuno in strada, sono veramente tagliati fuori da ogni tipo di relazione sociale. Quando hanno chiuso anche i bar, i nostri amici senza fissa dimora non avevano più neanche un posto dove poter andare in bagno o lavarsi. Erano costretti ad andare in bagno all’aperto. Poi i Comuni hanno istallato dei bagni pubblici e poi anche Caritas ha aperto bagni e docce. Per il 70% di loro il bisogno più grande è quello di avere un’accoglienza, ossia un posto dove potersi riparare, lavare, e fare un buon sonno. Un’altra loro grande necessità è la possibilità di avere delle relazioni, qualcuno che li ascolti, che dia loro delle indicazioni su cosa fare e dove andare. L’altro 30% sono persone di grande fragilità, legate all’alcolismo, alla tossicodipendenza, oppure problemi psichici medio-gravi. Per queste tre categorie ci vorrebbe un aiuto sanitario che in questo momento non può essere garantito. Sono le categorie più fragili”.

Cosa dovrebbe fare in più lo Stato per i senza fissa dimora?
“Lo Stato dovrebbe trovare un modo per coordinarsi con le associazioni che seguono e conoscono queste persone, sono le antenne sul territorio, e trovare il modo per farsi prossimo. In alcuni comuni questo accade ed è buono, ma in altre città è proprio assente”.