Bottazzi (Caritas): “Microprogetti di sviluppo: una rivoluzione di speranza”

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Chiara Bottazzi, componente del servizio Comunicazione di Caritas italiana

Uganda
Foto di Ninno JackJr su Unsplash

Gli ultimi dati raccolti dalla Banca mondiale, resi pubblici nella “Poverty and inequality platform” ci dicono che, al mondo, una persona ogni dodici, vive con meno di 2,15 dollari al giorno e, di conseguenza, 690 milioni di persone si trovano sotto la soglia della povertà assoluta, ovvero l’8,61% della popolazione globale.

L’azione di Caritas

A partire dagli anni ’70 del ‘900 la Caritas, attraverso i microprogetti di sviluppo, ha aiutato molte persone residenti nelle aree più povere del pianeta, permettendo alle diverse comunità di guardare con occhi diversi al futuro e ritrovare la propria dignità. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato la dott.ssa Chiara Bottazzi, componente del servizio Comunicazione di Caritas italiana.

Un villaggio in Burkina Faso (© RobertoVi da Pixabay)

L’intervista

Dott.ssa Bottazzi, che valenza hanno i microprogetti si sviluppo? Che obiettivi si pongono nel contrasto alla povertà globale?

“I microprogetti sono uno strumento caratterizzato da due elementi: rivoluzione e responsabilità. Sono rivoluzionari perché, per certi versi, hanno anticipato ciò che Papa Francesco ha affermato nella Laudato sì, ove ha sottolineato che, l’umanità, ha bisogno di ‘prendere coscienza dei cambiamenti degli stili di vita di produzione e di consumo’. Sotto questo aspetto, i microprogetti, sono rivoluzionali in quanto permettono sia alla comunità che li progetta e a quella che li sostiene, in questo caso dall’Italia, di cambiare sguardo. La rivoluzione non è soltanto quella che si fa attraverso i movimenti clandestini, ma consiste nel guardare il mondo con gli occhi della comunità che chiede aiuto e, di conseguenza, nel cambiare con piccoli gesti una realtà difficile e sofferente. I microprogetti, da parte nostra, sono stati definiti come una ‘rivoluzione dei piccoli passi’. L’altro aspetto importante da sottolineare è quello della responsabilità perché, attraverso queste attività, la comunità locale diventa responsabile di sé stessa, analizzando i propri problemi e facendosi delle domande per poi, attraverso questo, sviluppare una progettazione dal basso, presentando le sue esigenze e collaborando insieme per dar vita a una dimensione maggiore di giustizia. I microprogetti nascono nel 1969, un anno molto significativo, in cui per la prima volta, Papa Paolo VI, si era recato in Africa. La prima ‘micro realizzazione’, compiuta in quel contesto, è stata la costruzione di un reparto pediatrico all’interno dell’ospedale del villaggio di Maracia e ciò, ha fatto sì che, molti bambini, potessero avere delle cure adeguate e che la comunità si potesse realmente prendere cura di loro. A partire da allora hanno fatto seguito una serie di microprogetti, realizzati un po’ in tutto il mondo, come ad esempio in Uganda, Madagascar, Rwanda e, dagli anni 70 – 80 del ‘900 in Brasile, Burundi, Etiopia, Filippine e Laos, lambendo così ogni continente”.

Gli ultimi dati diffusi ci dicono che, oltre l’80% della ricchezza globale, va a beneficio dell’1% della popolazione mondiale. In che modo i microprogetti incidono sulla riduzione delle disuguaglianze e sulla dignità della vita delle persone?

“Cerchiamo di riportare un bilanciamento all’interno della comunità. Partendo dalla volontà di ristabilire una situazione di giustizia ed equità e agendo direttamente sulla causa di un problema facciamo si che, quella comunità, sia in grado di essere, essa stessa, sua fonte di sviluppo. Esse agiscono direttamente sulle cause dei loro problemi, partendo dalle dinamiche interne, sviluppando un dialogo al loro interno e facendo delle richieste secondo precise linee guida, con l’obiettivo di cercare una collaborazione reciproca e agire sulle cause della povertà e destabilizzare i meccanismi che creano ingiustizia. Il microprogetto è fondamentale sia per coloro che lo ricevono, ma anche per le nostre comunità. Rappresenta uno strumento per creare un ponte tra l’Italia e i paesi esteri, attraverso la conoscenza diretta di coloro che li sostengono, riportandolo attraverso gli strumenti comunicativi le testimonianze di coloro che sono stati aiutati e hanno quindi potuto risolvere delle problematiche profonde all’interno delle loro comunità. Si contribuisce quindi ad abbattere i muri attraverso il dialogo con le persone e, di conseguenza, i microprogetti, diventano anche uno strumento di educazione e di rivoluzione pacifica nonché un modo diverso di guardare al mondo”.

Quali sono i vostri auspici per lo sviluppo dei microprogetti di sviluppo? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione?

“I microprogetti sono nati nel 1969 e sono uno strumento per creare ponti tra noi e gli altri popoli nel mondo. Auspichiamo che continuino a fiorire come rivoluzioni di speranza e facciano cambiare sguardo a molte persone in riguardo a ciò che succede nel mondo e a coinvolgerle direttamente. Chi desidera aiutare la nostra azione può visitare il sito di Caritas italiana ove, nell’area ‘pace e mondialità’,  in cui vengono proposti i diversi microprogetti, i quali hanno un budget massimo di cinquemila euro e, con poco, permettono di fare molto, creando una fidelizzazione tra la persona e la comunità”.