Bambini che nessuno vuole: l’intervista a Marco Griffini

L'intervista di Interris.it a Marco Griffini, presidente Ai. Bi., sul dramma dei bambini adottabili che non trovano una famiglia

A sinistra: Marco Griffini, presidente Ai. Bi. Sulla destra una foto di Michał Parzuchowski su Unsplash

Nel mondo ci sono dei bambini adottabili che non trovano una famiglia. Eppure la legge 184/1983 stabilisce che tutti i minori hanno il diritto di crescere e di essere educati in un ambiente familiare. Si tratta di un problema che Marco Griffini, Presidente dell’Ai.Bi Amici dei Bambini, conosce molto bene e che definisce come un fenomeno culturale che permea indistintamente l’adozione nazionale e internazionale. Interris.it lo ha intervistato.

Presidente, chi sono questi bambini?

“Io li definisco ‘bambini abbandonati’ perché nonostante siano dichiarati adottabili nessuno li vuole. Molti di loro sono bambini con problemi di salute, a volte anche handicap gravi, oppure semplicemente ragazzini che hanno superato i dodici anni e la maggior parte delle famiglie preferisce adottare bambini più piccoli. Io li considero ‘abbandonati’ perché c’è qualcuno che decide per loro e che li priva ad avere una famiglia”.

L’abbandono è dunque un’emergenza?

“E’ una vera e propria piaga sociale, come lo è la denutrizione e la guerra, ma non viene considerata tale perché di abbandono non si muore. La legge 149 del 2001 prevede una banca dati contenente il numero esatto di questi bambini, ma ad oggi non è così. Nel 2009 l’Onu ha redatto un rapporto in cui emerge che se dovessimo dare una famiglia ai soli bambini dell’Africa i cui genitori sono morti di Aids ci sarebbe bisogno di dodici milioni di coppie di genitori”.

Cosa accade una volta compiuti i 18 anni?

“Questi ragazzi escono dalle strutture in cui hanno vissuto fino a quel giorno e si ritrovano senza un punto di riferimento e senza una casa. La maggior parte di loro non ce la fa ed inizia a delinquere o nel caso delle ragazze cadono nella diabolica trappola della prostituzione. Abbiamo condotto tre ricerche, rispettivamente in Russia, in Brasile e in Marocco e i dati emersi sono drammatici. Nei primi due casi l’80% e nel terzo il 90% questi ragazzi non riescono ad inserirsi nella società e alcuni di loro arrivano a compiere gesti estremi come il suicidio”.

Di chi è la colpa?

“Le rispondo con un altra domanda. Di chi è figlio il ragazzo abbandonato? É figlio nostro e della società che ha creato una categoria ‘bambini abbandonati’, come fossero degli oggetti di un inventario. L’adozione è un percorso tortuoso perché il sistema lo ha reso tale. Abbiamo bisogno di avere delle liste con dei numeri precisi e allo stesso tempo bisogna accompagnare le coppie adottive ad aprire il proprio cuore a questi ‘esclusi’ perché tutti i bambini sono degni di essere figli. Invece, nel 2023, nell’era digitale, in un’epoca in cui ci riempie la bocca parlando di ‘inclusione’ si preferisce lasciare i bambini dove sono”.

Cosa state facendo voi di Ai.BI.?

“Vogliamo arrivare ad ottenere il riconoscimento dello status giuridico del minore fuori famiglia e il diritto al risarcimento per il danno che questo minore ha subito rimanendo in una struttura fino ai diciotto anni. Inoltre, stiamo lottando perché la legge riconosca e preveda un avvocato del minore in quanto ad oggi il minore è l’unico soggetto a non avere diritto ad essere difeso da un legale”.