Sui campi di Crimea

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Irpin 06/06/2022 - guerra in Ucraina / foto Imago/Image nella foto: bombardamenti ONLY ITALY

La guerra in Ucraina, che iniziava un anno fa senza preavviso e senza motivo, senza rispetto per il diritto e senza idea delle conseguenze, ha dimostrato una volta di più quanto ci sia bisogno ora, subito, di un nuovo ordine mondiale. Non che sia fallito il ruolo di Superpotenza solitaria degli Stati Uniti: non è mai esistito se non nella mente di qualche accademico o nell’esaltazione di qualche neoconservatore. È che gli Stati Uniti, dopo il ritiro poco glorioso dall’Afghanistan compiuto da Biden ma impostato da Trump, speravano che ci si potesse voltare dall’altra parte, verso il Pacifico. Cioè, in controluce, lasciando al proprio destino l’Atlantico e, finalmente, quella fastidiosa quanto irascibile gente che ne abita le spiagge sull’altro lato. Che si arrangiassero: Europei fate da soli, ché noi siamo stanchi.

Nemmeno lo spazio di un mattino e Vladimir Putin ha invaso un paese vicino, indipendente e garantito dalla legge internazionale, cercando di riportalo a quella condizione di servaggio che la Russia ha imposto all’Ucraina dalla fine del Seicento. Di conseguenza adesso Biden deve andare da Zelensky a promettere missili e cannoni. Addio, disimpegno; addio, Pacifico. Si ricomincia da dove eravamo rimasti: l’Europa.
Siccome poi l’Europa oggi è figlia di quello che è stata ieri, è così che la guerra in Ucraina – in cui c’è, non lo si neghi, un aggredito ed un aggressore – è il primo grande conflitto del XXI secolo che però viene combattuto con le modalità di una guerra del XX e finalità degne del XIX. Per capirlo bisogna rileggere vecchi manuali sull’equilibrio tra le potenze europee scritti da Taylor: la discesa verso i mari caldi, la religione come collante ideologico, la necessità di mantenere i confini nei tracciati usciti da una grande ondata rivoluzionaria, sia essa il 1989 come l’avanzata napoleonica.

È per questo che l’invio di armi è stata cosa necessaria: aiutare chi lotta per la sopravvivenza può comportare metodi sia estremi sia ripugnanti, ma di per sé non è un errore. Casomai è una tragedia. È un errore chiedere all’Ucraina la resa nel nome della pace: non c’è pace se non c’è giustizia. Senza il sostegno a Kiev si sarebbe innescato un domino di crisi e ricatti, cessioni e cadute che avrebbero inevitabilmente portato tutti sul crinale dell’Armageddon. Altro che tragedia. Ugualmente sussiste la necessità di fermarsi non appena non sarà più necessario ricorrere alla difesa armata. Non si aspetti un attimo, per dichiarare la fine delle ostilità e con essa la fine dei rifornimenti di armi. Non sarà cosa facile: Zelensky ha dato talvolta l’impressione di non volersi fermare prima della riconquista della Crimea, e poi ancora dopo chissà, ma è proprio sui campi di Crimea che l’Occidente non vuole combattere. Di cariche dei Seicento ne è bastata una; soprattutto non compromettiamo la possibilità di ricostituire un equilibrio europeo. Chi, come noi, ha visto trent’anni fa la Russia umiliata – e l’Arbat trasformato in un suk dove ci si vendeva letteralmente lo scopino del bagno per poter sopravvivere – sa bene che tutto bisogna fare, men che tornare a quei giorni. Proprio per la causa superiore della pace.

Evitiamo quindi Sebastopoli e la Cernaia: non perché siano luoghi lontani di cui in fondo sappiamo poco, ma perché sono vicinissimi e le cannonate porterebbero lo sconquasso alle nostre case. E siccome questa è la guerra potenzialmente più pericolosa dal 1945, si cerchi la soluzione ritornando a quel sano multilateralismo che tanto ha contribuito da allora ad evitare il peggio, dando ad un mondo diviso quegli spazi di basculante autonomia d’azione per cui soggetti apparentemente secondari alla fine risultavano essenziali per il mantenimento della sicurezza internazionale. È grazie a questo che gli Europei hanno potuto dar vita alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che fece riscoprire all’Est l’Ovest e all’Ovest l’Est. È grazie a questo che l’Italia ha potuto svolgere per decenni un ruolo stabilizzatore nel Mediterraneo. È per questo che le Nazioni Unite, fino all’inutile umiliazione imposta loro nel 2003, in più di un’occasione hanno potuto – se non altro – porsi come forza di interdizione.

È vero, la guerra probabilmente continuerà a lungo. Almeno fino a dopo l’estate. Poi da ricostruire non ci sarà solo un Paese distrutto come l’Ucraina, e probabilmente nemmeno solo l’economia russa, i cui fondamentali usciranno polverizzati dal conflitto. Ci sarà da ricostruire la fiducia reciproca, il dialogo, un intero Continente. Quel continente che questa guerra ha rimesso al centro dell’ordine mondiale, e che ora attende che nasca qualcosa di nuovo.