La famiglia nel caos

rp_fasano_annamaria-150x150.jpgIl Governo sta varando un progetto, al fine di assicurare una equiparazione al matrimonio delle coppie omosessuali. Su queste riforme si impone una riflessione che tenga conto dell’evoluzione dell’istituto “famiglia” nel nostro Paese ed in Europa. La ”famiglia” oggi è una istituzione plurale. Per quanto il modello più diffuso resti quello della “famiglia eterosessuale monogamica fondata sul matrimonio”, in molti Stati membri dell’Unione si ammettono anche le convivenze non matrimoniali, sia registrate che di fatto, sia etero – che omosessuali – come anche il matrimonio same sex, con regolamentazioni tra loro differenti.

La Corte di Strasburgo è più volte intervenuta sulla materia, pur non senza incertezze e a volte anche con evidenti elementi di contraddizione, ritenendo valide alternative al matrimonio e come tali legittime forme di vita familiare, a norma dell’art. 8 CEDU, sia le unioni registrate che anche quelle di mero fatto, facendo discendere da tale assimilazione le stesse tutele previste per i coniugi (Corte EDU, Sezione quinta, caso Gas e Dubois c. Francia, ric. 23951/07). Anche il diritto al matrimonio, come sancito dall’art. 12 CEDU, è stato esteso prima a partners transgender (Corte EDU, Grande Camera, 11 luglio 2002, caso Goodwin c. Regno Unito, ric. n. 28957/95), e successivamente anche a persone dello stesso sesso ( Corte Edu, caso Schalk e Kopf, 22.11.2010, ric. n. 30141/2004), senza alcun obbligo di riconoscimento da parte degli Stati. La precisazione è di fondamentale importanza. Secondo la Corte di Strasburgo, gli artt. 8 e 14 CEDU non impongono agli Stati contraenti l’obbligo di garantire alle coppie dello stesso sesso l’accesso al matrimonio.

Resta aperto il problema della possibile trascrizione di tali matrimoni nei registri di stato civile, proprio a causa dell’ordine pubblico, così come avviene in Italia. Per la Suprema Corte di Cassazione, intervenuta con la sentenza n. 4184 del 2012, l’intrascrivibilità nei registri di stato civile italiani del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero non deriva dalla contrarietà all’ordine pubblico, ma dalla non riconoscibilità dello stesso quale atto di matrimonio da parte dell’ordinamento giuridico italiano, essendo necessario l’intervento del Legislatore per consentire l’istituto del matrimonio anche alle coppie omosessuali.

A questo punto, sulla base della precisazione effettuata dalla Corte, destano perplessità le recenti decisioni dei giudici di primo grado che, in assenza di specifiche norme nazionali e comunitarie, impongono di conseguire questo risultato (v. Tribunale di Grosseto del 10.4.2014). La Cassazione, riprendendo una decisione della Corte costituzionale relativa alle limitazione imposte allo straniero per contrarre matrimonio (20 luglio 2011, n. 245), ribadisce la discrezionalità del Legislatore nel regolamentare tali forme di unione, affermando che, fino a quando il Parlamento deciderà di garantire il diritto al matrimonio per le coppie omosessuali, due cittadini italiani omosessuali che hanno contratto matrimonio all’estero non potranno essere titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto, inidoneo a produrre effetti giuridici nell’ordinamento. I sostenitori del matrimonio tra persone dello stesso sesso spostano l’angolazione del problema, strumentalizzando il valore del riconoscimento dei “diritti fondamentali della persona”, che non sono in discussione.

Ma, nello specifico, non si tratta di negare i diritti del “valore persona” alle unioni omosessuali, che il nostro sistema giuridico garantisce ampiamente alle unioni di fatto eterosessuali, ma si pone il problema di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, argomento su cui può intervenire solo il Legislatore, ma tenendo conto dei valori della cultura, anche giuridica, del nostro Paese. Ad avviso di chi scrive, l’art. 29 Cost., in ragione del tempo in cui è stato codificato, fa riferimento ad un modello di famiglia che, pur suscettibile di evoluzione, è caratterizzato da una base granitica di cui il legislatore ordinario non può liberamente disporre. La tutela prevista dalla carta costituzionale, e di tutto il sistema delle norme dell’ordinamento correlate, comprende la sola famiglia tradizionale.

Chi legifera non può non tenere conto che equiparare nel sistema un matrimonio omosessuale a un matrimonio eterosessuale solleva il problema di effetti, che possono essere ricondotti solo a quest’ultimo, con conseguenze che riguardano la necessità di tutela di valori sociali che sottendono l’intero sistema legislativo. A questo punto perché non riconoscere la Poligamia anche nel nostro Paese?

Annamaria Fasano
Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione