Anticipazioni del DEF: ecco cosa lascia perplessi

Palazzo Chigi
Palazzo Chigi. Foto: Consiglio dei Ministri

Si avvicina, come ogni anno, la presentazione del DEF, il Documento di Economia e Finanza, per il prossimo triennio e la situazione, non occorre nascondersi dietro a effimere illusioni, non è certo rosea. Seppur l’economia italiana non stia andando assolutamente male, in relazione alle altre dell’Eurozona, il tasso di crescita previsto per quest’anno è nettamente inferiore a quanto ipotizzato nel 2022 e, secondo alcune analisi, anche da quello indicato nella NADEF dello scorso autunno.

Pesano la situazione congiunturale mondiale, segnata sia dal rallentamento della Cina sia dal doppio fronte di guerra in Ucraina e in Israele che aprono a diverse incertezze sull’evoluzione futura, sia l’azione recessiva della BCE che continua nella sua azione di stretta monetaria andando a penalizzare sia la liquidità per gli investimenti sia a colpire i redditi di chi abbia finanziamenti pluriennali accesi con gli istituti di credito e questo, sempre che sia necessario ricordarlo, va a colpire le componenti relative a consumi, investimenti e alla bilancia commerciale nel calcolo del PIL. Ciononostante l’Italia sta dimostrando, nel complesso, un livello di reazione e di resilienza ben superiore ad altre economie europee ma il rallentamento dell’economia va a incidere in maniera rilevante nella stesura dei bilanci pubblici. Ad appesantire la situazione si aggiunge l’extra-debito generato dai bonus edilizi della passata esperienza di governo Conte che rappresentano un macigno che deve essere spesato.

Partiamo dalle previsioni del PIL, nonostante l’ottimo slancio che il sistema Italia ha preso nel periodo post-pandemico già le previsioni di crescita nel 2023 si erano raffreddate principalmente a seguito della stretta monetaria della BCE per contrastare il rincaro dei prezzi al consumo spinto dalla crescita repentina dei prezzi energetici a seguito della crisi ucraina e che i tecnici e il board della banca centrale hanno considerato erroneamente come uno shock inflazionistico. Ora benché alle persone la differenza tra una crescita di prezzo dovuta a fattori esogeni di mercato e quella da inflazione non sia immediatamente percepibile, a livello tecnico il distinguo è estremamente importante perché la prima, come è successo lo scorso anno, rientrerebbe con il calo delle quotazioni sui mercati mentre la seconda va stabilizzata restringendo le masse monetarie affinché la domanda di moneta torni ad essere superiore rispetto all’offerta, di fatto, innalzando il prezzo della valuta.

Ora è palese a tutti che l’azione della BCE, che ha portato i tassi di riferimento a un livello record fin dalla nascita della moneta unica, non è servita a nulla, i prezzi hanno iniziato a normalizzarsi con il calo del prezzo del gas e della logistica uniti alla stabilizzazione di quello del petrolio, che però ha spinto i prezzi dei carburanti ben al di sopra del livello che, anni fa, avevano raggiunto anche a quotazioni della materia prima superiore; il vero effetto che ha avuto questa stretta è stato il c.d. effetto reddito su aziende e famiglie, che si sono visti mediamente diminuire i redditi disponibili se in presenza di finanziamenti e un aumento dei redditi da capitale che, a voler ben guardare, ha contribuito ad abbassare il benessere del continente e acuire la disuguaglianza economica.

Un altro punto critico legato alla politica monetaria restrittiva, poi, è dato dall’aumento della servitù del debito conseguente all’inasprimento dei tassi di interesse anche se va a colpire solo i titoli di nuova emissione che, però, riduce le risorse da destinare agli investimenti e alle riforme, soprattutto in campo fiscale. Tutto questo rappresenta una forte spinta recessiva a livello di crescita anche se la cosa è stata detta, a più riprese, accettabile dai vertici di Francoforte rispetto a un continuo rialzo dei prezzi che, come già detto, era indipendente dalla politica monetaria.

Da qui alla riduzione delle aspettative di crescita di tutto il sistema il passo è breve anche se il MEF è confidente di poter agguantare il tasso di crescita pari all’1% netto, già previsto nella NADEF, a fine anno nonostante la Commissione Europea lo veda allo 0,7%, in linea con il tasso di tutta L’area previsto allo 0, 8%.

Va detto, come ricordato anche dal sottosegretario all’economia Federico Freni al Forum Ambrosetti di Cernobbio, che raramente il MEF abbia sbagliato le sue previsioni negli ultimi anni (ed è vero) e, quindi, almeno questo punto dovrebbe essere segnato con credibile sicurezza nel documento programmatico in arrivo.

Il vero punto dolente è dato dall’indebitamento tendenziale. Come già detto i provvedimenti economici dei governi Conte pesano come macigni sui conti correnti anche se, più che il vituperato Reddito di Cittadinanza, il vero problema nasce dai bonus edilizi, il superbonus 110% e il bonus facciate, principalmente per la possibilità di cessione dei crediti a fronte di uno sconto in fattura. Non c’è bisogno di ricordare che, come di consueto, la ratio dietro a questi istituti era assolutamente condivisibile, per il restauro del patrimonio immobiliare italiano unito alla messa in sicurezza degli edifici nelle zone sismiche e al loro efficientamento energetico ma è stata la “messa a terra” a rappresentare un assurdo demagogico e estremamente oneroso.

Tutti ricordiamo quando l’allora Presidente del Consiglio parlava di poter fare questo o quello completamente “gratis” ma questa è stata palesemente un’affermazione demagogica, volta a racimolare consenso, perché non esiste nulla di gratuito, prima o poi qualcuno il conto lo dovrà pagare e oggi il nodo è diventato palese a tutti con un “buco” di bilancio stimato tra i 200 e i 210 miliardi di euro che andrà a pesare per diversi anni. La chiusura alla possibilità di cessione del credito, comunque, permetterà di ammortizzare buona parte della cifra sui prossimi 10 anni ma buona parte di questa dovrà essere coperta quest’anno cosa che spingerà il deficit credibilmente intono al 4,3% quest’anno per arrivare sotto l’obiettivo del 3% solo nel 2026.

La cosa assurda è che la spesatura dei bonus edilizi costerà più del PNRR e che, come buona parte di questo, si trasformerà in novo debito pubblico rischiando, perciò, anche una procedura di infrazione a livello europeo.

C’è però una cosa che lascia alquanto perplessi nelle anticipazioni di quello che sarà il DEF è l’assoluta mancanza di dati previsionali su deficit, debito pubblico e crescita economica per il prossimo triennio, limitandosi ai dati tendenziali: la cosa potrebbe avere una ratio legata all’incertezza sia sullo scenario macroeconomico sia su quello politico trovandosi alla vigilia di una tornata elettorale che potrebbe rivoluzionare gli equilibri in tutta Europa, le regole di finanza pubblica, in particolare, stanno cambiando a livello europeo e le nuove raccomandazioni di Bruxelles saranno disponibili solo da luglio in avanti e, così, potrebbe essere logico in effetti integrare la parte programmatica del DEF solo quando saranno disponibili gli aggiornamenti, ma a livello comunicativo non è certamente un punto a favore dell’esecutivo che si trova a dover “vendere un prodotto”, l’intero sistema Italia, senza alcuna “foglio informativo” ma sulla fiducia che come indica Sandro Brusco, professore di economia alla Stony Brook University, su X rischiando di far percepire una certa scarsa qualità nella propria azione dovuta proprio alla mancanza di informazioni.

L’unica cosa certa è che stante le nuove regole di bilancio già conosciute, fa notare Federico Fubini su Il Corriere della sera, è praticamente certo che sarà necessaria una manovra correttiva di 6 miliardi di euro che la necessità di prevedere altri 15 miliardi per confermare gli sgravi già concessi “una tantum” nel 2024. Il tendenziale, comunque, non sarebbe fuori controllo perché il deficit, come precedentemente indicato, sembra stabile, seppur più elevato dei limiti imposti a livello UE, ma in continuo calo nei prossimi anni.

La situazione è, quindi, assai fluida benché non certamente facile e, credibilmente, dal DEF avremo qualche elemento in più per poterla giudicare anche se le premesse, finora, permettono solo delle speculazioni intellettuali sui dati finora trapelati.