Uno sciopero che non s’ha da fare

Da tempo si leggevano qui e lì notizie di scioperi che si sarebbero svolti, ma aldilà dei “procellari”, ossia coloro che per partito preso pensano che manifestazioni e scioperi siano necessari sempre, anche quando non ci sono grandissimi motivi, la stragrande maggioranza degli italiani ha decifrato le notizie come i soliti espedienti per tenere il governo sulla corda dei tanti problemi che certamente non mancano, ma utili ai confronti a cui le Confederazioni sindacali sono chiamate.

Questo retro pensiero stavolta sembrava ancora più fondato, in costanza dei tanti nodi difficili da sciogliere che impegnano il Paese in grande apprensione e difficoltà, stato di cose che sconsiglia una fermata del lavoro generale. Uno sciopero generale vuol dire fermare scuola e sanità già in visibile difficoltà, le amministrazioni statali e locali, il delicato e complesso sistema dei trasporti, l’industria ed il terziario. Non sono bastati lockdown e restrizioni, perdite economiche di imprese e famiglie colpite dalla pandemia? La Nazione tutta è impegnata a fronteggiare il Covid, la gestione del Pnrr, l’imminente e complicata elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Per molto di più, in tempi molto più caldi, si è mostrata più cautela nell’uso dello sciopero generale che è stato sempre per il Sindacato la carta ultima da utilizzare. Significativa l’affermazione storica di San Giovanni Paolo II, il Papa operaio, che pure ebbe simpatie per lo sciopero generale proclamato nei primi anni 80 dal sindacato polacco Solidarnosc contro il governo oppressivo e liberticida comunista. In quella circostanza drammatica ebbe a dire che lo sciopero generale è la carta ultima da giocare da parte dei lavoratori, tante sono le implicazioni, che possono anche rendere le situazioni da risolvere più difficili e complicate.

Nel caso nostro, quegli accadimenti, quelle circostanze, come tante altre che in Italia hanno visto i lavoratori proclamare lo sciopero generale, segnano distanze siderali rispetto alla decisione presa per il 16 dicembre, sotto Natale, senza la Cisl e senza nemmeno la consultazione generale nei posti di lavoro come sempre è avvenuto. Ad esempio si poteva decidere di tenere in ogni parte d’Italia manifestazioni di sensibilizzazione per i temi pensionistici e fiscali cari ai lavoratori, ma non si è voluto.

Eppure la buona volontà di Draghi si è manifestata su pensioni e fisco, al contrario di quello che hanno fatto altri governi negli ultimi anni. Se c’è una critica da opporre alle decisioni governative, è quella di aver apportato delle modifiche molto parziali su ambedue i temi, in assenza di un disegno fiscale e pensionistico di prospettiva lunga per i prossimi decenni. Insomma sembra che l’assortita maggioranza ha imposto soluzioni di corto respiro per le solite bandierine elettoralistiche dei Partiti, che Mario Draghi obtorto collo ha dovuto accettare pur di evitare di sfilacciare la tenuta del governo in momenti delicati per la economia per la governabilità e coesione sociale.

Dunque, chi vuole lo sciopero, oggettivamente, si mette contro Draghi, esponendolo alle pressioni fin troppo chiare di chi lo vuole fuori gioco per ricominciare la pratica della dilapidazione dei soldi pubblici ridando forza alla degenerata repubblica dei bonus, brucia il tavolo di confronto sui temi sociali sul tappeto, da man forte ai partiti che più che adoperarsi governare il paese, pensano a come far crescere i propri consensi elettorali. Non c’è da sperare che in una parte del Sindacato qualcuno cambi opinione.