Una giornata internazionale per celebrare i diritti umani

In occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, Interris.it ha intervistato il presidente della Federazione italiana Diritti umani Antonio Stango

In questa data, settantatré anni fa, in un mondo che era appena uscito da due conflitti mondiali in meno di mezzo secolo, a Palais de Chaillot, a Parigi, si compiva un atto storico nel riconoscimento e nella proclamazione dei diritti, della dignità e delle libertà universali della persona. A cui ne sarebbero seguiti molti, in un percorso, difficile e in costante aggiornamento, teso a garantire il rispetto di ogni essere umano e di ogni aspetto della sua vita. Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella sua terza sessione, ha approvato e proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ad oggi il documento più tradotto al mondo. Dei 58 Stati appartenenti all’Onu al tempo, 48 votarono a favore, otto si astennero e due, Yemen e Honduras, non parteciparono alla votazione al documento.

Gli articoli

I trenta articoli della Dichiarazione, aperta dal primo che recita “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”, stabiliscono i princìpi di libertà e uguaglianza, i diritti individuali, le libertà fondamentali come quella di pensiero e di fede religiosa, i diritti economici, sociali, culturali e politici.

La Giornata mondiale dei diritti umani

In occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, che quest’anno ha come tema l’uguaglianza e come slogan All human, all equal (“Tutti umani, tutti uguali”)”, Interris.it ha intervistato Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani – Comitato Italiano Helsinki. Politologo, ha operato per i diritti umani fin dai primi anni Ottanta svolgendo attività di monitoraggio in aree di conflitto, collaborando come consulente con il Parlamento italiano e le istituzioni europee e partecipando a molte missioni in Europa, Asia, Africa e America Latina. È stato inoltre coordinatore del Sesto Congresso Mondiale contro la Pena di Morte, svoltosi ad Oslo nel giugno 2016, per Ensemble contre la peine de mort, membro del Comitato scientifico di Forum Religionsfreiheit ed è autore di numerosi saggi e pubblicazioni oltre che professore a contratto di International Organisations and Human Rights alla Link Campus University di Roma e presidente del Centro Europeo Studi Penitenziari.

Presidente, di cosa parliamo quando ci riferiamo ai diritti umani?

“Si tratta dei diritti dei quali ciascun essere umano è titolare per il semplice fatto di essere nato, senza alcuna discriminazione: cosa che per millenni non è avvenuta, in quanto molti diritti erano solitamente ‘concessi’ – dai sistemi giuridici o di fatto – solo a categorie ristrette di persone e non, per esempio, agli schiavi, alle donne, agli appartenenti a gruppi etnici o religiosi minoritari, a coloro che non avevano un certo livello di censo. Oggi quindi parliamo di diritti umani per tutti così come storicamente è giunto a riconoscerli il diritto internazionale, con precise statuizioni quali la Dichiarazione universale del 1948 e i due Patti Internazionali in materia approvati dall’Assemblea generale nel 1966”.

Lo slogan della giornata di quest’anno è “Tutti umani, tutti uguali”. Quanto siamo stati più o meno “uguali”, in questo 2021?

“La maggior parte degli esseri umani non ha goduto di un livello sufficiente di rispetto dei diritti umani come statuiti dal diritto internazionale. Ci sono miliardi di persone che vivono sotto regimi autoritari, come ad esempio quello cinese. In molti Paesi non c’è libertà di espressione, di associazione, di partecipazione politica, quindi non c’è la possibilità di votare per un vero parlamento e di cambiare democraticamente un governo. Nel caso della Cina poi ci sono minoranze, come quella uigura o tibetana, ma anche altri gruppi religiosi o etnici, che non hanno nemmeno elementari diritti di libertà. Secondo rapporti molto attendibili, oltre un milione di persone – soprattutto di etnia uigura – sono tenute per mesi o anni in campi di concentramento, di ‘rieducazione’ e spesso di lavoro forzato gestiti dall’apparato di potere cinese. Ci sono poi molti Paesi retti da regimi autoritari con formule politiche che si richiamano a determinate interpretazioni dell’Islam, dove i diritti della persona sono violentemente ristretti – non soltanto l’Afghanistan dei talebani, ma ad esempio l’Arabia Saudita o l’Iran. Ancora, altre popolazioni sono sotto regimi con una formula politica marxistica di oltre un secolo fa, come Cuba o il Venezuela, mentre altri Paesi dell’area ex sovietica nell’Est europeo o in Asia centrale sono passati da un dominio, anche ideologico, comunista a un sistema di mero potere per il potere, come la Bielorussia sotto il regime di Aleksandr Lukashenka o la Federazione Russa, che è anche aggressiva verso l’esterno. E nel caso della Corea del Nord il potere assoluto del capo, con il suo apparato ufficialmente comunista, è addirittura presentato come qualcosa di sacro”.

Per quanto riguarda i diritti delle donne e di soggetti più vulnerabili, come le persone con disabilità?

“Esiste una Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne: quando l’Assemblea Generale dell’Onu l’approvò, nel 1979, c’era infatti la consapevolezza che non bastava proclamare i diritti delle donne all’uguaglianza, ma era necessario combattere le discriminazioni esistenti, appunto ‘eliminarle’ come è stabilito fin dal titolo. Sono discriminazioni molteplici, che possono tuttora avvenire in campi limitati nei Paesi democratici – pensiamo ad esempio all’effettiva eguaglianza salariale a parità di professione – ma che in altri casi possono arrivare alla non eguaglianza stabilita per legge. In molti Paesi le donne non hanno una piena potestà genitoriale, che è invece attribuita al maschio capofamiglia (in Italia la potestà paritaria è stata sancita con la riforma del 1975); in diversi sistemi di ispirazione islamica, la quota delle donne in un’eredità è la metà di quella di eredi maschi e la loro testimonianza in un processo vale la metà di quella degli uomini. Un altro aspetto è quello delle ‘spose bambine’, minorenni che sono costrette a sposare uomini spesso molto più anziani di loro secondo la volontà delle famiglie, senza avere la possibilità di scegliere quando e con chi unirsi. Sulle persone con disabilità, a quanto mi risulta, nessun governo le discrimina giuridicamente, tuttavia bisogna capire quanto un sistema statuale fa in concreto per metterle in condizioni di vivere una vita pienamente accettabile. Una delle priorità deve essere quella di garantire parità di diritti e di accesso a qualsiasi sfera della vita alle persone con disabilità, anche stanziando le risorse economiche necessarie al superamento degli ostacoli. Per quegli Stati che non abbiano un bilancio sufficiente a garantire l’effettività dei diritti per le persone svantaggiate, per vari motivi, ci può essere il ricorso a meccanismi di aiuto internazionale, attraverso le competenti agenzie o forme di cooperazione. Occorre lavorare presso l’opinione pubblica e con i governi per sensibilizzare su questo tema”.

Qual è stato l’impatto pandemia sui diritti umani?

“In molti Paesi i diritti umani erano ristretti anche prima, alcuni regimi ne hanno poi approfittato per restringerli ulteriormente. Se prima erano ‘semplicemente’ vietate le critiche politiche, con la pandemia in alcuni Paesi è stato vietato anche solo esprimere opinioni differenti da quelle ufficiali sulla pandemia stessa. Alcuni governi hanno costretto le persone private della libertà, per reati comuni e per reati politici, a un isolamento per molti mesi dalle famiglie e dai loro legali. Nei Paesi democratici, pur con scelte criticabili, le restrizioni per fronteggiare la pandemia sono state sostanzialmente rispondenti alle limitazioni accettabili secondo il diritto internazionale”.

L’Onu e i suoi partner hanno lanciato Covax, un’operazione di acquisizione e fornitura di vaccini con l’obiettivo di rendere disponibili due miliardi di dosi di vaccini contro il Covid ai Paesi che vi prendono parte, di cui 1,3 alle economie a basso reddito, entro la fine del 2021. Si sta facendo abbastanza per garantire la salute delle realtà del mondo più deboli?

“Credo non si sia fatto abbastanza, tant’è che recentemente anche la Commissione europea ha affermato che siamo indietro e che fronteggiare la pandemia a livello globale dovrebbe diventare una priorità. Questo perché molti Paesi definiti eufemisticamente ‘in via di sviluppo’ non possono garantire vaccinazioni gratuite a tutti e in generale non hanno un sistema sanitario efficiente. Fare di più serve per evidenti motivi umanitari e anche per bloccare nuove ondate e varianti”.

Per le Nazioni unite uno dei modi per sconfiggere povertà, diseguaglianze e discriminazione è costruire un’economia sostenibile basata sui diritti umani. Quali possono essere gli strumenti per avviare questo processo?

“Ritengo sia essenziale, per garantire diritti economici, sociali e culturali, che richiedono in alcuni casi anche stanziamenti economici, assicurare i diritti civili e politici. Un regime che non concede ai cittadini la possibilità di esprimersi liberamente, di eleggere, di essere eletti, di cambiare il governo tende ad usare le risorse economiche a proprio esclusivo vantaggio. Ci sono Paesi con grandi risorse, come petrolio, gas naturale o metalli più o meno preziosi, in cui le ricchezze prodotte finiscono nelle mani di pochi individui o clan al potere, in misura enormemente maggiore di quanto accade nei sistemi di democrazia liberale. Se invece in quei Paesi la cittadinanza godesse dei diritti civili e politici e potesse cambiare democraticamente i propri governi, questi dovrebbero poi dare ascolto ai cittadini e utilizzare le risorse tenendo conto dei bisogni della popolazione. Oltre a questo, serve certamente favorire il dialogo e l’interazione fra gli Stati e le organizzazioni internazionali”.