L’azione di pace di papa Francesco e il ruolo dell’ecumensimo

pace

Papa Francesco è in prima linea nella mediazione tra Ucraina e Russia. Prima c’è stato un fermo “no grazie” da parte del presidente ucraino. Volodymyr Zelensky ha ribadito come il piano di pace può essere solo ucraino. Da parte sua il Cremlino hanno preso atto del “sincero desiderio” della Santa Sede di facilitare la fine del conflitto. Riaffermando però le ferme posizioni sui territori occupati. Quindi il Papa ha scelto il cardinale Matteo Zuppi per tentare un nuovo approccio. Dopo essere andato a Kiev, il presidente della Cei è atteso a Mosca. Anche se la data è ancora da stabilire. Intanto il metropolita Antonij, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, ha incontrato il Papa in Vaticano. Portandogli i saluti del Patriarca di Mosca, Kirill.PaceL’unità dei cristiani deve realizzarsi anzitutto al suo interno, per poterla testimoniare credibilmente e diffondere nella società e tra i popoli. Di questo era ben consapevole Giovanni XXIII il quale, anche grazie al suo trascorso di diplomatico, ha sollecitato e accresciuto la sensibilità ecumenica, riflessa nella “Unitatis Redintegratio”. Oltre al desiderio di incontro e dialogo con le religioni non cristiane, espresso nella “Nostra Aetate“. Ora, in linea con i suoi predecessori, e anzi accentuando tale desiderio di comunione e di incontro, nel tentativo di creare unità e fraternità, Francesco compie gesti significativi e fecondi. Come lo storico incontro con il patriarca russo Kirill, oltre ai numerosi incontri con i rappresentanti di altre religioni.paceSe c’è un evento che racchiude simbolicamente e concretamente nel pontificato di Francesco l’anelito ecumenico del Concilio Vaticano II è il suo storico incontro a Cuba con il patriarca di Mosca. “L’incontro con il caro fratello Kirill” è “un incontro tanto desiderato pure dai miei predecessori”. “Un evento è una luce profetica di Risurrezione, di cui oggi il mondo ha più che mai bisogno. La Santa Madre di Dio continui a guidarci nel cammino dell’unità”. Il Papa all’Angelus del 21 febbraio 2016 ha spiegato ai fedeli il valore e gli obiettivi dell’ evento vissuto a Cuba. E, come già aveva fatto con i giornalisti nel volo dall’Avana a Città del Messico e in quello da Ciudad Juarez a Roma, ha insistito sui temi della fraternità e del camminare verso l’unità. La gioia dei due leader religiosi a Cuba è stata colta dai presenti: “Posso testimoniare”, ha raccontato per tutti padre Antonio Spadaro in una conferenza a La Civiltà Cattolica, “che il sorriso, l’abbraccio, il bacio, sono stati reali e c’è stato un clima di grande simpatia, nella mia immaginazione mi aspettavo delle rigidità che invece non ho visto“. Più difficile da spiegare perché il riconoscersi fratelli, e perché un abbraccio possano essere così importanti. Sarebbe più facile se si sapesse cosa il papa e il patriarca si sono detti nelle due ore di colloquio, due ore che, seppure con la presenza degli interpreti, risultano un tempo lunghissimo di dialogo. ConcilioIl Papa ai giornalisti ha spiegato che se avesse detto una cosa poi avrebbe dovuto aggiungerne un’altra. E ha commentato che se un colloquio è privato deve restare privato. La riservatezza riguarda sia un eventuale secondo incontro, sia un ipotetico viaggio del Papa a Mosca. O una sua ipotetica partecipazione al Concilio panortodosso di giugno a Creta. Papa Francesco, invece, ha detto qualcosa di più circa la dichiarazione comune firmata con Kirill. Insistendo sul carattere di “pastoralità” del documento. Si è scritto che la dichiarazione importa meno dell’incontro. Ciò è senz’altro vero. Ma non esonera dal cercare nei trentatré punti del primo documento comune firmato da un papa e da un patriarca di Mosca, gli indizi dei possibili percorsi di unità, le mediazioni tra le ragioni, tra le sofferenze inflitte e subite degli uni e degli altri, le differenze di teologia e di pastorale tra le due grandi Chiese, le convergenze sulla intricata questione ucraina, che è religiosa, politica ed etnica nello stesso tempo.paceSoprattutto non esonera dall’analizzare come il dialogo tra Roma e Mosca possa aiutare entrambe – forse Mosca ne ha un po’ più bisogno di Roma? – a dialogare con il mondo. E a fare insieme qualcosa di buono per la pace mondiale. “Ho un cauto ottimismo dopo questo incontro fraterno“, ha detto David Nazar, gesuita ucraino-canadese, “perché senza la fraternità è impossibile parlare della complessità storica“, e “comunque sarebbe un errore pensare che l’ecumenismo comincia con i leader”. E ignorare le esperienze fraterne tra cattolici e ortodossi, anche in Ucraina. Resta il problema di come spiegare perché un abbraccio sia tanto importante. Si può ricordare lo storico incontro di Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora nel ’64, quando i capi delle due Chiese cristiane assunsero in prima persona il dovere di sbloccare una situazione bloccata da secoli, si abbracciarono, e si riconobbero come cristiani, per poi giungere alla cancellazione delle reciproche scomuniche.ArteL’ecumenismo non comincia con i leader, ma i leader possono moltissimo se si alleano
in un progetto comune. Questo forse hanno pensato Francesco e Kirill, e da questo “punto intermedio, non di partenza né di arrivo”, come padre Spadaro considera l’abbraccio a Cuba, è certo che non possiamo prescindere nel valutare l’accelerazione dell’ecumenismo impressa dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Gli autori del testo della dichiarazione congiunta firmata a Cuba da papa Francesco e dal patriarca di Mosca Kirill sono il pontefice e il capo della Chiesa ortodossa russa in persona, ha poi precisato il metropolita Ilarion, capo del dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa. L’incontro a Cuba rappresenta un passo storico nell’ecumenismo. Le radici risalgono lontano nel tempo. Bisogna in modo particolare risalire al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha segnato anche nel campo ecumenico un momento forte, che ha chiuso con un passato fatto di accuse, incomprensioni, e condanne.
paceIl Concilio aperto al dialogo, alla riscoperta delle tante cose belle della tradizione e della fede comune. Particolarmente della fraternità. Così il Concilio ha superato un periodo fatto di accuse di peccato, di eresia e di scisma, osservando che delle divisioni e lacerazioni nel tessuto della Chiesa, avvenute “talora per colpa di uomini di entrambe le parti” (UR, 3) non possono certamente essere accusati i cristiani dei secoli successivi. La ferita della divisione che la storia ha lasciato non può far cadere nell’oblio il ricco patrimonio spirituale comune della fede e del culto. Pur nella divisione, c’è un solidissimo fondamento comune, una comunione, anche se imperfetta, fondata sul Battesimo e sul patrimonio di fede, che permette di riconoscersi fratelli. Una comunione destinata a crescere fino alla pienezza. La dinamica di questo mutamento è stata positiva. Ha portato a rispettarsi, ad apprezzare le cose belle comuni, che sono molte e grandi, a ridimensionare i contrasti, a collaborare con il servizio e riconoscimento delle ricchezze comuni della fede, a riconoscersi e a trattarsi da fratelli, nella carità. E dove c’è l’amore c’è Dio. E dove c’è Dio, è attivo il principio interiore che muove lo spirito a riconoscersi fratelli nello Spirito e ad operare secondo il progetto di Dio che porta all’unità piena. Ma questa opera è dello Spirito. Gli uomini sono chiamati ad operare attraverso l’amore. Questo ha significato questo storico incontro. La riscoperta dell’amore fraterno, che porta ad operare sotto la guida di Dio e sotto l’azione dello Spirito Santo.