La vita di san Romualdo, fondatore dei Camaldolesi

San Romualdo, sacerdote, abate e fondatore del Camaldolesi. Ravenna, 952 ca. – Valdicastro ( Ancona ), 19/06/1027. Si dice che fugga dal mondo quando suo padre, che è un duca, uccide un parente per liti sulle proprietà.

Avvenimenti

Segue per tre anni la Regola benedettina nel monastero di Sant’Apollinare in Classe: non pago di quella vita, si unisce a un eremita di nome Marino nella laguna veneta; sono raggiunti da altri uomini, anche illustri (come Pietro Orseolo, doge di Venezia). Si trasferiscono in seguito nel monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei orientali. Romualdo dopo dieci anni torna in Italia.

• Dovunque si rechi, cerca di riformare i monasteri e gli eremi, sul modello degli antichi cenobi orientali, lasciando un’impronta di vita solitaria.

• L’imperatore Ottone III lo vuole abate a Sant’Apollinare in Classe, ma quel tipo di vita non è in armonia con il suo ideale monastico, per cui dopo un anno rinuncia all’incarico.

• Soggiorna a Montecassino; anche qui importa il suo rigore ascetico e imprime alla spiritualità benedettina una più accentuata intonazione contemplativa ed eremitica. I Camaldolesi fondono la vita eremitica di tipo orientale a quella cenobitica di tipo occidentale.

• Tra i suoi continui spostamenti giunge verso il 1012 nell’Alto Casentino; qui un certo Maldolo gli dona la terra dove poi il Santo fonda l’eremo di Camaldoli. Nonostante conduca una vita travagliata ed errabonda, è incline alla solitudine e all’ascesi.

Non lascia ai suoi monaci una Regola scritta, ma solo l’esempio della sua santità.

• Due papi sono camaldolesi: Pio VII e Gregorio XVI.

Aneddoti

• Quando conduce vita eremitica sui colli veneti, il maestro spirituale Marino, a ogni suo errore nella lettura, lo percuote con una verga sulla guancia sinistra. Un giorno Romualdo prega di colpirlo sull’altra guancia, perché dall’orecchio sinistro è diventato quasi sordo. Un nobile dissoluto, che Romualdo cerca di convertire, diffonde contro di lui infami calunnie. Viene scomunicato e gli viene negata la celebrazione della Messa. Sopporta con profonda umiltà l’ingiusto castigo ed è rapito in estasi appena gli viene concesso di celebrare di nuovo il divino sacrificio.

• Un giorno, mentre è in cerca di un luogo idoneo per fondare un eremo, s’addormenta presso una fontana e vede in sogno la scala di Giacobbe con una lunga fila di monaci vestiti di bianco che salgono verso Dio.

Personalità

«La sua figura rievoca le rigide e austere tempre dei monaci dei deserti orientali, ricorda quegli uomini che nelle più aspre rinunce e nella più severa penitenza diedero al mondo rilassato un esempio severo che esortava alla riflessione e alla conversione» (san Pier Damiani). Il suo volto è sempre così lieto e sereno che mette gioia a chiunque lo guardi. La vita eremitica si adatta perfettamente al suo carattere solitario ed esigente con se stesso.

Spiritualità

Raggiunge la più alta vetta della preghiera contemplativa. Austera penitenza. Perdona gli assassini del fratello in un epoca in cui la vendetta privata è quasi autorizzata dalla legge. Prima di entrare nella pace eterna, sopporta non solo molte difficoltà e sofferenze, ma anche persecuzioni e una ingiusta scomunica.

Morte

Vent’anni prima predice ai suoi discepoli che sarebbe morto a Valdicastro in solitudine. Sentendo vicina la morte, si chiude nella sua cella in profondo raccoglimento interiore. Sul far della sera chiede ai due monaci che l’assistono di lasciarlo solo e di ritornare più tardi, per recitare il Mattutino. I due obbediscono malvolentieri e rimangono in vicinanza della cella; quando non sentono più alcun rumore, rientrano nella stanza e trovano il Santo già morto. Anche dopo aver concluso la sua vita terrena, Romualdo non ha fissa dimora: in seguito a vari spostamenti, nel 1481 le sue spoglie vengono trasportate a Fabriano e venerate nella cripta della chiesa di San Biagio. È canonizzato nel 1595 da Clemente VIII. San Pier Damiani ne scrive la biografia quindici anni dopo la sua morte. Il 7 febbraio si festeggia la traslazione delle reliquie a Fabriano.

Tratto dal libro “I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire” di Luigi Luzi