Il diritto tra blasfemia e vendetta

Ci sono enormi contraddizioni in questa orribile vicenda dell’agguato mortale ai redattori del settimanale francese Charlie Hebdo. Un distorto concetto di libertà di stampa, una strumentale passerella di politici lontani anni luce dalla garanzia dei diritti fondamentali dell’informazione, un’interpretazione forzata delle radici europee, l’uso della religione in senso propagandistico sia da parte dei terroristi che da parte dell’Occidente.

Richard Malka, avvocato del periodico oggetto dell’attentato, dopo la strage ha affermato: “Non cederemo in nessun modo, lo spirito di Io sono Charlie significa anche diritto alla blasfemia”. Ecco la prima incoerenza: rappresentare Maometto mettendolo in ridicolo, così come disegnare la Santissima Trinità in atteggiamenti osceni non vuol dire essere meno violenti solo perché non si sparge sangue.

Se da condannare è la brutalità, lo è in ogni sua forma, anche in quella dialettica o grafica che mina i sentimenti più profondi dell’uomo, ridicolizzando una fede, un credo; non si parla di satira politica, ma di offese insopportabili e gratuite. Peraltro senza possibilità di difendersi, perché è del tutto evidente che una vignetta pubblicata è un “colpo” sparato in sicurezza, senza alcuna possibilità di replica.

E “libertà” non può significare poter fare male agli altri senza che questi possano difendersi. Il rispetto (che manca!) parte da lì, e pur se paradossale e ovviamente inaccettabile, a quel diritto alla blasfemia così tanto reclamato c’è chi potrebbe contrapporre un diritto alla vendetta. Siamo anche in questo caso dentro al gigantesco equivoco del relativismo, per cui si decide di poter fare qualunque cosa non perché giusta o sbagliata in sé, ma secondo una valutazione di parte.

C’è poi il continuo richiamo fatto pubblicamente da molti governi ai valori fondanti dell’Europa, intendendo con questi il collegamento con la cristianità. Un’operazione ipocrita (nella Carta europea il passaggio sulla fede non fu inserito, e anche il successivo dibattito ne ha bocciato l’utilizzo) utile a identificare l’Islam tout court come nemico; ma se in questo caso ciò che si va difendendo è la libertà del pensiero, anche quello capace di offendere le religioni, non siamo in presenza di un principio cristiano ma illuminista, dove l’uomo e il suo pensiero – appunto – è messo in cima alla scala di valori planetaria. In questo senso il continuo riferimento all’attacco alla cristianità suona molto come l’adesione a una crociata fatta però con scopi molto lontani dalla difesa del credo religioso. Diciamo pure che in molti, troppi, diventano cristiani quando gli fa comodo.

Quanto alla presenza dei capi di Stato e di governo (o loro rappresentanti) alla marcia repubblicana, andrebbe sottolineata – e in parte è stato fatto da diversi organi di informazione – l’incongruenza tra la testimonianza resa a favore della libertà di stampa e la posizione che i rispettivi Paesi hanno nel rapporto di Reporters Sans Frontieres: il Gabon al 98° posto piuttosto che gli Emirati Arabi al 118° o l’Egitto al 159°. Ma anche altre presenze imbarazzanti di leader africani piuttosto che dell’area dell’Est europeo e della stessa Russia. Un’occasione mancata per i leader mondiali di fare un vero gesto contro le guerre come avrebbero potuto fare, e non è accaduto, Abu Mazen e Netanyahu.

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