Covid-19, da modello a cavia: cosa aspetta l’Italia nel dopo-virus

L’Italia avrebbe volentieri fatto a meno del ruolo di apripista e di modello nella pandemia da Coronavirus che sta aggredendo tutta l’Europa. Anche perché in questo ruolo è compreso quello, davvero scomodo, di cavia. Agli occhi del mondo siamo di fatto tutto questo da quando il virus ha lasciato la Cina e l’Estremo Oriente per dirigersi verso Ovest. Per varie settimane i nostri partner europei hanno creduto e/o sperato che l’Italia fosse una sorta di caso estremo ed isolato dell’epidemia e hanno cominciato a chiuderci in faccia le frontiere; oggi hanno dovuto accettare l’idea che tutti i paesi sono sulla stessa barca. E tuttavia il riflesso alla chiusura a riccio continua: ben sette Paesi, a cominciare dalla Germania, finora hanno sospeso Schengen. E’ bastato a Berlino un tratto di penna per mettere in mora forse il frutto più apprezzato, tra i non molti, dell’integrazione europea. E questo è sicuramente tra i primi plinti della costruzione unitaria che si stanno incrinando.

La seconda colonna lesionata è quella del Fiscal Compact con l’insieme della politica dell’austerità: qui a rammaricarsi sono veramente in pochi e anzi il sospiro di sollievo è molto più generalizzato, almeno a queste latitudini. Se possiamo fare una manovra da 25 miliardi per affrontare l’emergenza sforando il 3 per cento del rapporto deficit-Pil è perché ci si rende conto che, sul ciglio di una grave recessione, sarebbe bizzarro in questo momento intestardirsi con la disciplina di bilancio. Certo, non è detto che un olandese o un finlandese lo comprendano ma probabilmente anche i “falchi del Nord” capiranno l’aria che tira solo osservando ciò che fa il loro Paese di riferimento, la Germania, che ha varato un piano-monstre di 550 miliardi di euro a favore delle sue imprese minacciate dalle conseguenze della pandemia. Però attenzione: se l’austerità va in soffitta non è detto che non si provi a riservare all’Italia, gravata dal suo mostruoso debito pubblico, un trattamento alla greca: non lo sa solo il Financial Times, che lo ha scritto, che il partito rigorista capeggiato dalla Bundesbank vorrebbe che Roma, nella bufera finanziaria già in corso, si sottoponesse alla disciplina del fondo salva stati. Il Mes offrirebbe il suo aiuto in cambio di una rigida austerità tanto più inaccettabile perché verrebbe applicata proprio mentre il Fiscal Compact nel resto dell’Unione viene sospeso. Pochi credono però che la signora Lagarde, con le sue parole di indifferenza per l’aumento dello spread, abbia commesso una gaffe: più verosimilmente ha voluto lanciarci un avvertimento molto chiaro sulla fine dell’”era Draghi”.

Insomma, bisogna attrezzarsi ad affrontare da subito il dopo-virus che non sarà meno spietato – anche se su un altro piano – dell’epidemia. E sarà vitale capire quale grado di solidarietà si sarà nel frattempo maturato in Europa: come è noto, le emergenze e le guerre fanno emergere ciò che c’è di meglio ma anche ciò che c’è di peggio negli uomini. Questo vale anche per gli Stati.

La politica italiana però in questo momento sembra dotata di una capacità di reazione quasi insospettabile: il governo e l’opposizione non sembrano lacerati da divisioni insormontabili, la polemica politica e il bla-bla si sono come attenuati, il governo ha saputo conquistarsi un profilo di attivismo e incisività che fanno (appunto) da modello. E, quanto alla signora Lagarde, Quirinale, Palazzo Chigi, Ministero del Tesoro insieme alla Banca d’Italia hanno saputo imporre all’istituto di Francoforte una decisa (e per certi versi umiliante) correzione delle sciagurate parole della presidente.