“Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”

«Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento»
«Non veni solvĕre, sed adimplēre»

Terza Settimana di Quaresima – Mercoledì – Mt 5, 17-19

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Il commento di Massimiliano Zupi

La Legge, come i Profeti che ad essa si richiamano, in Israele aveva il compito di indicare la via del bene, della felicità, della vita (Dt 30,16). Gesù, da parte sua, non può non confermarne la validità; egli semplicemente la porta a compimento: fa in modo cioè che venga rispettata e vissuta. Come? Incidendo nei cuori quel che era stato scritto sulle tavole di pietra (Ger 31,33; Ez 36,26). La legge di per sé è una norma esteriore, dettata da una ragione impersonale; le si può obbedire spinti dal desiderio di incarnare l’ideale di uomo da essa rappresentato: nella misura in cui ci si riuscisse, si sarebbe perfetti, irreprensibili, forti, puri. Paradossalmente, un esito simile però sarebbe l’opposto della finalità della Legge di Dio: l’amore. Ecco che la Legge che avrebbe dovuto condurre alla vita, produce frutti di morte: durezza di cuore, senso di superiorità, giudizio e condanna, o, nella misura in cui non la si osservi, sensi di colpa e disistima. Per questo, infine, il Dio che aveva pronunciato i Dieci Comandamenti, si fece carne: non impone più nessuna legge, ma la prende su di sé; non comanda più di amare, ma ama, lavando i piedi dei suoi discepoli e offrendosi loro come pane da mangiare. Il discepolo non deve più essere all’altezza di quanto prescritto dalla Legge: può riconoscersi peccatore, debole, ultimo e scoprirsi ugualmente amato e perdonato (1 Tm 1,15-16). Al fariseo irreprensibile subentra il peccatore graziato (Rm 5,20): al cuore duro nella sua forza si sostituisce il cuore misericordioso perché ricoperto di misericordia.

Il cristianesimo certo non è una morale, non è un codice di norme da osservare. Il vangelo rappresenta piuttosto la liberazione dalla Legge: «Ama e fa’ ciò che vuoi», come per tutti sentenziò Agostino (Commento alla Prima Lettera di Giovanni 7,8). Eppure grazie all’amore, quella Legge, impossibile da osservare, finisce con l’essere osservata fin nei minimi dettagli. Il vangelo infatti non abolisce la Legge, ma la compie; è osservanza non di chi è perfetto e virtuoso, ma di chi ama, Dio sopra ogni cosa e il prossimo suo come sé stesso (Lc 10,27), perché amato (Lc 10,33-34): osservanza compiuta nella dolcezza di un cuore mite (Mt 11,29-30) e che non giudica nessuno (Gv 3,17; Fil 2,3), in un’affettività guarita dalle proprie ferite. Il cielo e la terra stessi sono espressione di questa legge perfetta: tutto il creato infatti è dono di Dio e si mantiene in essere in quanto esso stesso a sua volta si dona. Quel che la natura è inconsapevolmente, l’uomo è chiamato ad essere volontariamente: divenendo così realmente simile a Dio.