Prof. Maggiore (Opbg): “Le bambine sono a maggior rischio epatite, ecco perché”

L’intervista al prof. Giuseppe Maggiore, responsabile del reparto di Epatogastroenterologia e Nutrizione dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù per la Giornata mondiale dell'epatite

In tutto il mondo, 290 milioni di persone vivono con l’epatite virale ignare della propria condizione, mentre sono approssimativamente tra i 130 e i 210 milioni gli individui con infezione cronica da virus dell’Epatite C, stimati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Pochi sanno inoltre che l’epatite non è solo virale e che questa grave malattia non colpisce solo gli adulti, ma anche i bambini. E, in modo nettamente prevalente, le bambine. Ne parliamo con il prof. Giuseppe Maggiore, responsabile del reparto di Epatogastroenterologia e Nutrizione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma, a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’epatite (WHD – World Hepatitis Day).

Il prof. Giuseppe Maggiore

La Giornata mondiale dell’epatite

Promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Giornata mondiale dell’epatite si svolge ogni anno il 28 luglio allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul peso globale dell’epatite virale e incoraggiare alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento di una malattia potenzialmente mortale. Il tema scelto per l’edizione 2021 è infatti “L’epatte non può aspettare“.

L’intervista al professor Giuseppe Maggiore

Cosa è l’epatite? Ne esiste un solo tipo?
“No. Per questo si parla di epatiti, al plurale. Le epatiti sono malattie infiammatorie della cellula principale del fegato: l’epatocita. Questa cellula esercita le funzioni fondamentali che permettono la sopravvivenza dell’individuo. Il fegato è un organo vitale perché filtra tutti i nutrienti che provengono dall’intestino, li elabora, li modifica e li reimmette in circolazione. Dunque la necrosi estesa degli epatociti può portare alla morte del malato se non si interviene in tempo con delle cure o, nei casi più severi, con il trapianto di fegato”.

Epaciti sani nel tondo a sinistra ed epaciti malati nel tondo a destra

Quali sono le principali cause delle epatiti?
“Sono i virus. Le epatiti virali sono infatti le più frequenti cause su scala globale, con grandi differenze di percentuali di malati tra i cosiddetti Paesi Ricchi (o occidentali) e quelli poveri. Storicamente il virus più noto anche in Italia è quello dell’epatite A (o HAVHepatitis A Virus). Colpiva anche i bambini ma sempre in modo lieve. Negli adulti invece era sempre sintomatica. L’epatite A si diffonde per via oro-fecale, ossia mangiando o bevendo cibi o acqua contaminati da feci infette. Il virus può anche essere diffuso attraverso il contatto con una persona contagiosa, ad esempio condividendo lo stesso bagno senza la necessaria igiene delle mani. Oggi, nei Paesi occidentali come in Italia, l’epatite A è quasi scomparsa: nel bambino è stata praticamente eradicata. Oggi, inoltre, esiste un vaccino che è efficace nel 100% dei casi”.

Quante altre epatiti virali esistono?
“Le epatiti virali attualmente conosciute sono cinque: A, B, C, D e E. Ognuna è provocata da un virus differente con caratteristiche molto diverse. Le più note, oltre alla A, sono l’epatite B e C. In Italia, dagli anni ’60 ad oggi, sono drasticamente calate. L’epatite B (o HBV) era in Italia un’emergenza sanitaria fino a trenta anni fa, quando c’era una percentuale di portatori sani del 3%, con delle sacche di portatori cronici che arrivavano al 20%. L’emergenza è stata superata grazie alla creazione e distribuzione gratuita e universale del vaccino contro l’epatite B. L’Italia è stato uno dei primi Paesi – di questo possiamo andarne fieri! – a offrire il vaccino gratuitamente a tutta la popolazione”.

Anche per l’epatite C c’è un vaccino?
“No, per l’epatite C (o HCV) non c’è ancora un vaccino. Ma c’è una cura. Da pochi anni esistono infatti farmaci potentissimi che sono gli antivirali diretti (direct-acting antiviral, DAA) che hanno rivoluzionato l’approccio al virus. Alcuni Paesi europei, ad esempio, ‘predicono’ una data di eradicazione del virus HCV: in Francia nel 2030 circa. L’Italia seguirà più o meno la stessa tempistica d’oltralpe. Questo perché le epatiti C rispondono praticamente al 100% alla terapia anti virale. E’ un grandissimo risultato della scienza, un vero miracolo della medicina. Ricordo che fino a pochi anni fa l’epatite C era la principale causa di cancro del fegato e di trapianto di fegato nell’adulto. In trenta anni dunque l’incidenza delle epatiti virali nell’adulto si è molto ridimensionata”.

Passiamo ai bambini. Vale lo stesso discorso degli adulti?
“Sì. Quando arriva a reparto un bambino con una epatite acuta è rarissimo che sia stata causata da un virus. Molto più raro che per gli adulti. Inoltre, nei bambini, le epatiti virali non hanno quasi mai sintomatologia grave”.

Quali tipologie di epatiti sono più frequenti nei bambini?
“Quelle autoimmuni. Le epatiti autoimmuni sono malattie rare – patologie che presentano una incidenza inferiore a 5 casi ogni 100.000 persone – ma (con la scomparsa delle altre tipologie di malattia) non sono poi così tanto rare. Infatti, arrivano al Bambino Gesù di Roma – da tutta Italia – circa due o tre bambini malati al mese. Non sono poi così tanti pochi…”.

Perché?
“Nonostante non esistano ancora studi specifici sull’incidenza in Italia o in Europa, negli ultimi decenni c’è un costante aumento delle nuove diagnosi rispetto al passato delle malattie autoimmuni del fegato”.

Cosa significa autoimmune?
“Nell’individuo sano il sistema immunitario è orientato verso un nemico esterno, virus o batterio. Il sistema immunitario ha permesso all’Homo Sapiens – ben prima della scoperta degli antibiotici – di non estinguersi. Oggi, in una società molto più pulita e libera da molti pericolosi virus, alcune persone hanno il sistema immunitario che aggredisce le cellule sane dell’organismo. Praticamente, il sistema immunitario del soggetto autoimmune attacca ‘pezzi’ di se stesso: contro il nucleo, o contro degli enzimi del fegato. Sono delle malattie molto aggressive che vanno seguite per tutta la vita. Ho iniziato ad occuparmi di epatiti autoimmuni 40 anni fa, quando nemmeno si chiamavano con questo nome perché non erano ben conosciute. Questo nonostante siano tipiche dell’età pediatrica, infatti oltre l’80% delle epatiti autoimmuni nell’uomo esordisce prima dei 18 anni. Negli adulti è molto più rara: alcune forme di epatite autoimmune, poi, esistono solo nei bambini. Se fino a venti anni fa esisteva solo l’epatite autoimmune, oggi – grazie agli studi – si deve parlare di varie tipologie di epatiti autoimmuni”.

Cosa hanno in comune?
“Hanno in comune il meccanismo di base, l’autoimmunità come causa, ma si frazionano poi in alcuni sottotipi meno conosciuti e che stiamo cercando di conoscere. Questo è dunque un campo di studio dove si sono fatti progressi importanti, ma che ha ancora bisogno di approfondimento. Le epatiti autoimmuni, se non diagnosticate, possono portare a un danno epatico cronico, una cirrosi grave che necessita di un trapianto di fegato. Ma oggi i pediatri sono preparati nel riconoscerle”.

Esiste una cura?
“Esiste un trattamento consolidato che non permette di curarle – una cura specifica e risolutiva non esiste – e di controllarle. Sono malattie croniche del fegato molto aggressive ma con una ottima aspettativa e qualità della vita del bambino, se diagnosticate correttamente e il prima possibile. I piccoli pazienti, prendendo la terapia in modo regolare, possono fare una vita normale”.

Esiste differenza tra uomini e donne nelle epatiti autoimmuni?
“Sì, in modo netto. Infatti le bambine si ammalano molto più frequentemente dei bambini. Circa 9 nuove diagnosi su 10 riguardano infatti le femmine: ragazze, adolescenti, bambine”.

Come è cambiata la loro vita?
“Con la terapia immunosoppressiva hanno fatto una vita normale. Ho delle pazienti che ho iniziato a seguire che erano delle bambine, ora sono delle donne che hanno affrontato una gravidanza e un parto senza problemi, pur non sospendendo la terapia. Sono i risultati di una ricerca costante e proficua: fino a 15 anni fa, pensare ad una gravidanza per una donna con una malattia autoimmune era illusoria. Oggi, invece, questo è possibile!”.