La dispersione scolastica piove sul bagnato: sempre sul terreno dei più fragili

Come la pandemia può trasformarsi in un possibile fattore in grado di alimentare un fenomeno già fin troppo noto

Nell’insieme delle criticità del Paese, in questo anno segnato dalla pandemia, occorre ricordare la cosiddetta “dispersione scolastica” al fine di capire quanto ne sia stata alimentata. È necessario valutare l’effetto nefasto del Coronavirus sia per la didattica a distanza sia per quella in presenza, per le gravi conseguenze culturali, pedagogiche, sociali ed economiche.

Le paure generate dalla pandemia, infatti, alimentano anche il contesto di insicurezza sociale in cui si trovano famiglie, lavoratori e studenti. Per questi ultimi, le prospettive, attualmente più nere, di un futuro sicuro si sommano alle situazioni già croniche della società (violenza, bullismo, emarginazione) che sono il motore principale per sottovalutare l’importanza dell’istruzione e piegare verso un più comodo lassismo, un rilassamento quotidiano di inattività totale.

Indifferenza per l’istruzione

Un elemento che contraddistingue la dispersione è, da sempre, quello dell’indifferenza di alcuni genitori o dei loro figli (in alcuni casi di entrambi) nei riguardi dell’istruzione, alla quale hanno ormai assegnato un’importanza minimale, seguendo un pragmatismo che la considera superflua e, soprattutto, ininfluente ai fini di una collocazione lavorativa. Tale ultima valutazione, rispetto al passato, viste le crescenti difficoltà occupazionali, potrebbe aver ricevuto nuova linfa. In molte realtà, nella classifica dei valori e della priorità, la scuola non sempre occupa la posizione di vertice. Negli ultimi mesi, le pressanti realtà economiche del quotidiano hanno alterato la precaria rilevanza dell’insegnamento, ritenuto spesso secondario, accessorio e fuori dalla realtà, soprattutto fra le fasce di età adolescenziale. In molti casi, la “Didattica a distanza” (Dad) è stata vista come un cataclisma non tanto per la penalizzazione culturale e sociale degli alunni quanto per la difficile gestione da parte dei genitori, impegnati in attività lavorative.

La Ddi

A livello terminologico, occorre evidenziare la novità, poco conosciuta, della “Didattica digitale integrata” (Ddi) che si fonda sull’alternanza fra l’insegnamento a distanza e quello in presenza. All’interno di questo contesto, la Dad è la parte di didattica svolta unicamente attraverso le piattaforme digitali. Il termine “abbandono”, riferito alla scuola, è usato in un’accezione generica. Non va confuso, infatti, con il “tasso di abbandono scolastico”, un indicatore numerico che quantifica gli alunni non più in obbligo scolastico che non giungono a compimento del percorso di studi. Il Ministero dell’Istruzione-Università e Ricerca ricorda: “È obbligatoria l’istruzione impartita per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni”.

Dispersione disomogenea

Il flagello della dispersione scolastica era ben presente nel Paese, la costrizione dell’insegnamento fra le mura domestiche spinge verso un’accelerazione del triste fenomeno. Stando ai dati dell’Eurostat (Ufficio statistico dell’UE), infatti, l’Italia è al quarto posto, in Europa, per tasso di abbandono scolastico, con una percentuale che fa rabbrividire: 14,6%. Occorre considerare come l’incidenza dell’abbandono non sia uniforme in tutto lo Stato e raggiunga nel Meridione, purtroppo, punte pari al 20%. La dispersione risente anche delle condizioni logistiche e dagli strumenti a disposizione. L’Istat ha precisato come il 12,3% dei minori (circa 850.000 studenti) non sia in possesso di uno strumento atto a seguire la Dad. Ciò influisce, negativamente, sulle motivazioni e spinge gli alunni, sul crinale fra continuazione e abbandono, a lasciarsi verso la seconda soluzione.

Un rapporto ben articolato del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), fotografa, pienamente e in modo esaustivo, la situazione attuale della scuola provata dalla pandemia, con numeri, statistiche e osservazioni. Il report si è reso possibile in seguito a un sondaggio, terminato lo scorso 27 aprile, che ha coinvolto 2.812 dirigenti scolastici (oltre il 35% del totale e per il 70,9% del primo ciclo di studi), di istituti pubblici ed equiparati, distribuiti in tutto il territorio nazionale.

Sperimentazioni alternative

È opportuno riportare alcune risultanze. “Sono circa 8,5 milioni i bambini e i ragazzi che, dalla scuola dell’infanzia a quella di secondo grado, si sono ritrovati ad essere interessati (ma molti anche esclusi) dalla più grande, per quanto non voluta e non programmata, sperimentazione della scuola italiana, quella della didattica a distanza”.

Sono state anche formulate delle sperimentazioni alternative. “Tra le idee progettuali più sperimentate (da 622 istituzioni scolastiche, il 54,6%) al primo posto si colloca la flipped classroom, la classe capovolta, che si basa sul principio che la lezione diventa compito a casa mentre il tempo in classe è usato per attività collaborative, esperienze, dibattiti e laboratori […] – a livello nazionale, il 39,9% dei dirigenti segnala, a fine aprile, una ‘dispersione’ nella Dad superiore al 5% degli studenti delle proprie scuole, suddivisi tra il 21,9% con una quota di studenti non raggiunti compresa tra il 5,1% e il 10% e il 18% che ha purtroppo lasciato finora sul campo più del 10% degli studenti; – è nelle aree del Sud del Paese che si rileva un peso superiore alla media di istituti con elevati tassi di studenti che, finora, non si è riusciti a coinvolgere nella Dad, in quanto è il 22,9% dei rispondenti a segnalare che, nelle scuole da loro dirette, non è stato raggiunto dall’offerta didattica più del 10% del totale degli studenti; – maggiori difficoltà di coinvolgimento si registrano nelle scuole del primo ciclo, i cui dirigenti, nel 19,4% dei casi, segnalano di non avere ancora raggiunto più del 10% dei propri studenti (valore che scende al 15,2% dei dirigenti di scuole che hanno solo o anche il secondo ciclo)”.

Un fenomeno rischioso

Un’altra informazione smentisce alcuni luoghi comuni “Focalizzando le diversi ripartizioni geografiche, non sembrano emergere aree del Paese in maggiore difficoltà di altre”. Nonostante qualche problema tecnico evidenziato, con la Dad sembra che le diseguaglianze territoriali, in termini di nuovi abbandoni, si siano livellate. Il fenomeno è complesso e articolato e le condizioni di chi abbandona non possono essere sempre sintetizzate e definite, con una dose di cinismo, con termini quali “fannulloni” e sinonimi. Abbandonare in anticipo la frequentazione scolastica significa avere più rischio di rimanere disoccupati, di essere impiegati in lavori a bassa retribuzione, meno opportunità e più diseguaglianza, di non poter avere prospettive di carriera e di rientrare fra i cosiddetti “Neet” (Not in education, employement or training) ossia individui, in genere nella fascia dei 16-24 anni, non impegnati nello studio né nel lavoro né nella formazione.

Sempre più ultimi

Un aforismo acuto di un pensatore anonimo ribadisce: “Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate l’ignoranza”. L’obiettivo primario al quale bisogna prestare sempre riferimento è che gli effetti sociali del Coronavirus non vadano a impattare nei contesti individuali più svantaggiati, a creare ulteriore distanza fra ambienti più fortunati e pronti al cambiamento della scuola a distanza e quelli meno preparati. La forbice, già ampia, che esiste fra queste realtà estreme ma reali, si sta aprendo ancora e il rischio concreto, da evitare nel modo più assoluto, con un impegno estremo e collettivo, è che i bambini e i ragazzi più svantaggiati siano condannati a rimanere sempre più “ultimi”, nell’indifferenza generale.