Di Tizio (Wwf): “Come salvaguardare il patrimonio naturalistico italiano”

Interris.it ha intervistato il Presidente WWF Italia, Luciano Di Tizio, sui danni della crisi climatica a flora e fauna e su come risolverli

L’estrema siccità di queste settimane, il caldo anomalo degli ultimi tre mesi – secondo il CNR il 2022 è stato l’anno più caldo di sempre – gli eventi meteorologici estremi… stanno creando gravi danni all’uomo, alle colture e all’ambiente naturale nel suo insieme.

In un contesto in cui il 45% dell’Europa è in sofferenza idrica e ben il 13% del continente è colpito da siccità estrema, le poche piogge cadute “a macchia di leopardo” su parte della Penisola non hanno risolto i problemi dei corpi idrici italiani.

Le cause sono molteplici, a partire dai cambiamenti climatici. Interris.it ha intervistato il nuovo Presidente Wwf Italia, Luciano Di Tizio, per fare il punto sui danni che la crisi idrica e climatica apporta a flora e fauna e sulle proposte per risolverli.

Laureato in filosofia, dopo un’esperienza nel campo della scuola, Luciano Di Tizio ha operato per molti anni come giornalista e si è sempre occupato di ambiente con numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative sulla piccola fauna. Socio Wwf dal 1992 e guardia volontaria ittica-ambientale, è stato Delegato del Wwf Abruzzo per 7 anni. E’ diventato Presidente Wwf Italia lo scorso 16 luglio.

Il Presidente WWF Italia, Luciano Di Tizio

L’intervista a Luciano Di Tizio, Presidente Wwf Italia

L’Italia, come molti Paesi europei, sta vivendo una gravissima siccità e conseguente crisi idrica. Quali soluzioni?

“La grave crisi idrica in corso è senza dubbio da inquadrare nella epocale crisi climatica ed ecologica in atto e come tale va approcciata in modo strutturale, affrontando le cause e non correndo dietro ai sintomi: bisogna dunque evitare risposte emergenziali e analizzare il problema con freddezza per individuare le soluzioni. Nello specifico, occorre mettere in campo una strategia nazionale integrata e a livello di bacini idrografici, allargando e ampliando il ventaglio delle soluzioni tecniche praticabili attraverso la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi”.

Il cambiamento climatico sta mettendo a rischio la vita di molte specie animali. Quali?

“Sono davvero tantissime le specie a rischio. Le classi zoologiche che stanno risentendo di più della attuale situazione sono probabilmente i pesci e gli anfibi. Attenzione, però: la colpa non è solo del riscaldamento globale, cui l’insipienza umana dà un considerevole contributo. La nostra specie ha colpe gravissime anche per altri fattori: abbiamo inondato per decenni le campagne con prodotti chimici pericolosissimi per l’ambiente e in molti casi ancora ci ostiniamo a farlo; abbiamo immesso nei fiumi decine di specie di pesci e crostacei alieni con un impatto devastante per la fauna autoctona… Parlando di specie a rischio non posso poi non citare l’orso bruno marsicano. I suoi problemi non sono in verità legati strettamente ai cambiamenti climatici, anche se pure lui risente di inverni sempre più caldi e meno innevati, ma è un animale simbolo della lotta per la sopravvivenza: sulle montagne dell’Appennino centrale ne sono rimasti soltanto una sessantina di individui (qui inserisco una precisazione: gli animali vivi vanno considerati appunto individui e non “esemplari”) ed è per loro che il WWF ha lanciato la campagna orso 2×50, per raddoppiarne il numero entro il 2050. Dateci tutti una mano e fra qualche anno festeggeremo insieme”.

Come l’innalzamento delle temperature impatta sulla flora italiana?

“Due le conseguenze negative principali: la siccità, che rende difficile la sopravvivenza stessa di molte essenze e il crescente anticipo dei tempi di vegetazione, che crea problemi enormi anche alla fauna. Le faccio un esempio: i tempi di vegetazione anticipati in montagna stanno mettendo in crisi lo stambecco (Capra ibex): i giovani hanno sempre meno possibilità di trovare alimenti adatti nella fase critica dello svezzamento e questo ha portato a un drastico calo del tasso di sopravvivenza nel primo anno di vita: era del 50% sino agli anni ‘80 del secolo scorso, oggi è scesa, secondo i dati raccolti nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, addirittura al 25%: vuol dire che su quattro stambecchi nati quest’anno solo uno sarà ancora vivo l’anno prossimo”.

Come rendere indipendente dal punto di vista energetico il nostro Paese?

“La strada è obbligata: investire sulle rinnovabili. Solo che deve essere un investimento vero e convinto, non soltanto di facciata. Escludendo ovviamente nucleare e gas, che non possono diventare ‘rinnovabili’ con un colpo di bacchetta magica, attraverso un provvedimento più che discutibile approvato da un consesso politico. Il WWF ha pubblicato recentemente, il 26 marzo scorso, in occasione dell’annuale appuntamento con Earth Hour, un documento dal titolo “RINNOVABILI, ENERGIE PER LA PACE”, che inviterei tutti a leggere, sia per le sue implicazioni geopolitiche, poiché attuare una transizione veloce verso le energie rinnovabili significa investire contro potenziali conflitti, sia per le potenzialità immense che ha il settore: nel prossimo triennio potremmo avere 60 GW di rinnovabili, 80.000 nuovi posti di lavoro e un risparmio di 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. La crisi determinata dalla guerra in Ucraina avrebbe dovuto far accelerare la transizione verso le energie rinnovabili piuttosto che indurre la politica a fare passi indietro scommettendo di nuovo su gas e carbone, in alcuni casi persino contro gli interessi delle aziende. Riaprire una centrale a carbone fortunatamente spenta comporta investimenti e anni di lavoro: ha senso una scelta simile a fronte di una emergenza?”.

E’ possibile parlare di “patrimonio naturalistico” italiano?

“Certamente sì. L’Italia ha una duplice fortuna, quella di avere un patrimonio di biodiversità come pochi altri Paesi al mondo e insieme una tradizione immensa nel campo dell’arte, dell’archeologia, della cultura in generale. Considerare questi patrimoni in forma dicotomica, da una parte i prodotti dell’ingegno dell’uomo, dall’altra l’ambiente, è una pura follia”.

Come la sua valorizzazione potrebbe aiutare la crescita economica del Paese?

“Per risponderle devo prima precisare una cosa fondamentale: dobbiamo smettere una volta per sempre di valutare la situazione economica esclusivamente in termini di crescita: è semplicemente impossibile in un mondo finito continuare perennemente ad aumentare prodotto interno lordo, profitti e quant’altro. Ciò premesso, oggi più che mai è necessario fare scelte intelligenti: abbiamo per anni interpretato il turismo dando una prevalenza assoluta alle stagione balneare, con foreste di ombrelloni sulle spiagge e con una cementificazione selvaggia delle coste, e alle settimane bianche, riempiendo le montagne di piste e impianti di risalita. Un sistema che il riscaldamento globale con un innevamento sempre più scarso e con l’innalzamento del livello dei mari già in atto, ha messo in crisi. Occorrono oggi scelte diverse che possano valorizzare un turismo verde soft, rispettoso dell’ambiente, e in parallelo città d’arte e patrimonio archeologico anche minori, sinora rimasti ai margini del circuito turistico”.

Vuole fare una considerazione finale?

“Dobbiamo diventare, come specie, decisamente meno presuntuosi. Non siamo la specie al vertice della piramide che potrebbe non interessarsi di tutte le altre e che invece generosamente se ne preoccupa. Siamo, con tutte le specie viventi, in un grande cerchio nel quale ognuno ha una sua importanza: se si rompe l’equilibrio saranno i più fragili a rimetterci. E da questo punto di vista quella umana non è una specie particolarmente adattabile ai cambiamenti: le testuggini e le tartarughe erano su questo pianeta da prima dei dinosauri e ci sono ancora. Noi siamo arrivati appena ieri, eppure siamo stati capaci di creare grandi danni. Siamo in tempo per modificare il nostro atteggiamento, ma prima lo facciamo meglio sarà per tutte le specie e per il pianeta”.