La corrispondenza tra aumento di crimini e caldo: l’intervista alla dott.sa Mancone

L'intervista alla dottoressa Fabiola Mancone, direttore della I Divisione della polizia Scientifica alla Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato

Che all’aumento della temperatura corrisponda un aumento dei crimini violenti è cosa nota da tempo. La conferma arriva da uno studio pubblicato dai ricercatori Leah Schinasi e Ghassan Hamra dell’Università di Drexel, Pennsylvania: dall’analisi di dieci anni di dati relativi ai crimini perpetrati a Filadelfia, dal 2006 al 2015, è emerso che i livelli di criminalità crescevano a dismisura se quella giornata era da bollino rosso. Risultato: anche da noi da maggio a settembre le forze dell’ordine fanno gli straordinari. Pure la polizia scientifica: agenti che, come sanno i fan di C.S.I. Crime Scene Investigation oltre a dare un contributo tecnico alle investigazioni tradizionali, sono specializzati in biologia, fisica, chimica.

A dirigere questa Divisione presso la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato è la dottoressa Fabiola Mancone, che riesce a dar voce alle vittime di crimini violenti grazie anche a tecnologie sempre più moderne.

Per lei, quindi, primavera ed estate non sono sinonimo di mare e vacanze, ma di superlavoro. “Gli omicidi non vanno in ferie” spiega la dottoressa Mancone, “e purtroppo per noi sono all’ordine del giorno in qualsiasi stagione dell’anno. Anche se oggi non sono più alla Polizia Scientifica di Napoli, dove ero operativa su questo tipo di crimini, continuo a far di tutto perché nessun atto scellerato, che annoveri tra le vittime anche bambini, anziani, donne, rimanga impunito. Lo sento come un dovere professionale e morale”.

Com’è diventata una professionista “alla CSI”?

“Ho iniziato a 22 anni con la laurea in Giurisprudenza. A 24 ho vinto il concorso da Vicecommissario nella Polizia di Stato e dopo un corso di nove mesi sono stata assegnata alle Volanti della Questura di Napoli. Da lì sono passata agli uffici investigativi della Squadra Mobile sempre con la speranza un giorno di entrare nella Polizia Scientifica, mia grande passione”.

Perché?

“Mi è sempre piaciuto investigare, ma ero attratta maggiormente dall’aspetto tecnico e scientifico dell’investigazione. Secondo me essere investigatore con conoscenze maggiori rispetto a quelle giuridiche è un qualcosa in più. Si vede la scena del crimine sotto una luce diversa”.

Chissà quante ne avrà viste, di scene del crimine.

“Centinaia. Posso assicurare che in ognuna c’è sempre qualcosa che ti balza agli occhi e che non ti lascia pensare ad altro, soprattutto quando riguarda una vittima innocente. Perché un conto è avere a che fare con gli omicidi di camorra, cui a Napoli per forza di cose ci fai l’abitudine. Per 15 anni sono stata Dirigente del Gabinetto della Polizia del capoluogo partenopeo, la maggior parte degli omicidi di cui mi occupavo erano conflitti a fuoco, scontri tra pregiudicati. Anche in quel caso non rimani impassibile davanti a un corpo rimasto a terra, a una vita spezzata violentemente, ma quando hai davanti ai tuoi occhi un bambino, un bebè appena nato, una bambina che si trovata lì per caso, ecco, quei casi non li scorderai mai”.

Ce n’è uno in particolare che non è riuscita a rimuovere dalla memoria, qualcosa che ancora le provoca dolore?

“Non potrò mai dimenticare il giorno in cui sono intervenuta in una abitazione nel centro di Napoli dove una mamma aveva partorito e ucciso i suoi neonati. Una scena bruttissima, un sopralluogo molto doloroso. I due piccolini con gli occhi spalancati che sembravano guardarti. Sono passati quasi vent’anni, ma ancora oggi quando, girando per Napoli, capito davanti a quel palazzo mi ricordo di quei corpicini, quelle vite spazzate via così presto. E non è un caso isolato”.

In che senso?

“Che spesso guardando un palazzo, una villa, mi ricordo cosa è accaduto all’interno di quelle mura. Ripenso a una coppia, marito e moglie, ammazzata per soldi. E altri casi di vittime innocenti. Provo dispiacere, perché immagino che queste persone potevano essere mio padre, mia madre, i miei figli. Penso che queste cose possono capitare a tutti, anche a me. Nel mio lavoro separare la vita professionale da quella personale a livello emotivo è difficilissimo, ma necessario. Altrimenti non vivi più, sei troppo condizionato dal male cui assisti. Il dispiacere, il rancore, pian piano si trasformano in maggior impegno sulla scena del crimine”.

Perché?

“Perché rinnova la voglia di dare un volto agli assassini. Si sta attentissimi a ogni dettaglio, si cerca di scovare tutto ciò che puoi repertare, si raccoglie ogni traccia che possa portare senza ombra di dubbio al nome del reo. Ci si confronta con i colleghi, persone di cui ti fidi ciecamente e con cui fai squadra, per arrivare al risultato. Ti interfacci con il grande esercito del personale tecnico del laboratorio che attraverso le attività tecnico-scientifiche successive alla repertazione produce risultati inattaccabili”.

Si ricorda il suo “primo giorno” alla Polizia Scientifica?

“Come potrei dimenticarlo? Turno di notte, sempre a Napoli. Avevo appena attaccato che è arrivata la chiamata: triplice omicidio. Un battesimo di fuoco in tutti i sensi. Mi era già successo nel 1993 all’arrivo nella Squadra Mobile. Avevo 25 anni. Ho preso servizio il 16 agosto e l’indomani mattina omicidio di camorra. Nemmeno il tempo di ambientarmi”.

C’è stata una volta in particolare in cui si è sentita particolarmente orgogliosa delle sue abilità investigative?

“Attualmente come dirigente sono preposta al coordinamento degli uffici di Polizia Scientifica su tutta Italia. Però quando dirigevo la Polizia Scientifica di Napoli mi capitava spesso di uscire con la squadra sopralluoghi per coordinare le attività e interfacciarsi con gli altri uffici investigativi sul posto e naturalmente con l’autorità giudiziaria. In un’occasione, aiutando la squadra nella ricerca di impronte latenti, ho esaltato delle impronte digitali da una scatola di biscotti che si trovava nei pressi del cadavere di una vecchietta appena uccisa. Le impronte che avevo rilevato erano proprio dell’assassino. Che poi è stato arrestato”.

Intervista di Stefania Fiorucci per il settimanale Visto