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Genco (ANFE): “Cosa ci insegna oggi la tragedia di Marcinelle, 65 anni dopo”

L’otto agosto 1956 il pozzo n 1, detto Bois du Cazier, della miniera di Marcinelle, nel bacino carbonifero di Charleroi, in Belgio, fu sconvolto da una immensa esplosione avvenuta nelle sue gallerie ad oltre mille metri di profondità. Morirono tra fiamme e fumo 262 minatori: di questi, 136 erano italiani.

L’incendio nella miniera di Marcinelle, 8 agosto 1956

Migranti italiani

I minatori italiani erano andati in Belgio bisognosi di lavoro e a seguito di un accordo firmato nell’immediato dopoguerra tra il Governo italiano, presieduto allora da Alcide De Gasperi, e il Governo belga, definito accordo uomo-carbone in base al quale, per ogni minatore, l’Italia avrebbe ricevuto 200 chili di carbone al giorno, necessari per la ricostruzione del Paese. L’impegno del Governo italiano era quello di inviare almeno 1.000 minatori a settimana nei cinque bacini carboniferi belgi. Molti furono coloro che aderirono alla chiamata.

Il pozzo di Marcinelle era tra i più insicuri e fu teatro della grande esplosione dell’8 agosto 1956. Per più di tre settimane i minatori superstiti – solo 13 – e le forze di soccorso scesero nei cunicoli di quel pozzo per cercare di salvare eventuali superstiti ed estrarre i corpi dei minatori defunti. La operazioni di salvataggio furono disperate e proseguirono fino al 23 agosto, quando alla fine ci si dovette arrendere. Uno dei soccorritori risalì e sconsolato disse: “Tutti cadaveri“. Nelle settimane successive alla tragedia, nelle località di origine delle vittime, autotreni belgi trasportarono le bare dei minatori morti a Marcinelle.

Nel video a inizio pagina, a cura di Elisabetta Briguglio per ANFE (l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrate) il racconto di quel terribile giorno di 65 anni fa.

L’onorificenza del Presidente Ciampi alle vittime

Nel 2005, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dispose il conferimento, in occasione del 2 giugno, Festa Nazionale della Repubblica, della medaglia d’oro al Merito Civile alla memoria delle 136 vittime italiane della tragedia di Marcinelle con la seguente motivazione, uguale per tutti, a imperituro ricordo.

“Lavoratore emigrato in Belgio, in seguito alla tragica esplosione di gas verificatasi nella miniera di carbone di Marcinelle, rimaneva bloccato, in un pozzo a più di mille metri di profondità, sacrificando la vita ai più nobili ideali di riscatto sociale. Luminosa testimonianza del lavoro e del sacrificio degli italiani all’estero, meritevole del ricordo e dell’unanime riconoscenza della Nazione tutta”.

Il Presidente Carlo Azeglio Ciampi in visita alla miniera di carbone di Marcinelle insieme al re del Belgio, 17 ottobre 2002

L’eredità di Marcinelle oggi

L’eredità dei minatori di Marcinelle è qualcosa di tangibile ancora oggi. Il pozzo di Marcinelle era in funzione dal 1830 e la catastrofe avvenne per le inadempienze dei proprietari che avevano omesso di migliorare le condizioni di sicurezza. Sono passati 65 anni da quella tragedia, ma le morti sul lavoro non si sono fermate.

Lo scorso anno – nonostante i mesi di lockdown – ci sono state 1.270 morti bianche, più di 3 al giorno. Lo si legge nella Relazione Annuale INAIL 2020. Nei primi tre mesi di quest’anno sono arrivate all’Inail ben 185 denunce di infortunio mortale, 19 in più rispetto al primo trimestre del 2020.

“La questione della sicurezza – commenta i dati Inail il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra – deve diventare una grande vertenza nazionale, che ci deve vedere tutti uniti, così come abbiamo fatto per altre battaglie storiche del movimento sindacale”.

Tragedie annunciate

A 65 anni dalla tragedia di Marcinelle si continua ancora a morire nei luoghi di lavoro. Emblematici i due recenti episodi di Luana D’Orazio e Laila El Harim, le due operaie che hanno perso la vita rimanendo incastrate nei macchinari delle loro fabbriche per carenze nella sicurezza.

Dagli accertamenti tecnici sui due macchinari sequestrati nella ditta tessile “Orditura Luana” di Oste di Montemurlo, infatti – dove il 3 maggio scorso ha trovato la morte la giovane apprendista 22enne Luana D’Orazio – sarebbero emerse delle manomissioni, uno al quadro elettrico e una alla parte meccanica. La prima avrebbe consentito al macchinario di continuare a lavorare in automatico, pure con la saracinesca di protezione abbassata. Sull’altro orditoio, che si trovava davanti a quello dell’incidente costato la vita alla ragazza, sarebbe invece risultata l’assenza della fotocellula di sicurezza.

Discorso simile per Laila. Secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, sul macchinario difettoso con il quale lavorava Laila El Harimla dipendente di 40 anni rimasta stritolata da una fustellatrice presso la ditta “Bombonette” lo scorso 3 agosto – non c’era il blocco automatico di sicurezza, ma solo “un doppio blocco di funzionamento meccanico, azionabile, da parte dell’operatrice, manualmente e non automaticamente”.

Le tante, troppe “morti bianche” – in fabbrica come in miniera, in cantiere come in agricoltura – sono spesso delle tragedie annunciate causate dalla mancanza di adeguate norme di sicurezza nei luoghi di lavoro in nome di una (ipotetica) maggior produttività. Sessantacinque anni fa come oggi.

Il Presidente di ANFE Paolo Genco

L’intervista al Presidente ANFE, dottor Paolo Genco

Ne parliamo con la con il dottor Paolo Genco Presidente ANFE , l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrate fondata nel 1947 da Maria Federici, nata Anna Maria Agamben, (L’Aquila, 19 settembre 1899 – Roma, 28 luglio 1984) una politica, antifascista e partigiana italiana deputata per la Democrazia Cristiana nell’Assemblea Costituente e alla Camera dei deputati.

Qual è la mission di ANFE e come ha operato durante il Covid?
“L’ A.N.F.E. è un’associazione senza fini di lucro e riconosciuta Ente Morale che nasce in un periodo storico caratterizzato da un forte fenomeno migratorio in uscita dall’Italia, per rispondere alla necessità di assistenza degli emigranti e delle loro famiglie, soprattutto nella tutela dei loro diritti e nel sostegno delle comunità italiane nel mondo, oltre che per desiderio di mantenimento di un legame culturale con la terra d’origine. ANFE opera nel settore delle politiche migratorie da più di 70 anni, supportando i nostri connazionali con diverse attività ed iniziative come ad esempio i percorsi di lingua italiana, i servizi di assistenza legale, produzione di riviste e cortometraggio per far conoscere le storie di emigrazione, e tante altre iniziative.
L’ANFE è inoltre iscritta nel Registro degli Enti e delle Associazioni che svolgono attività in favore degli immigrati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per l’Immigrazione e nel Registro UNAR, nel Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità; è tra i fondatori della Consulta Nazionale dell’Emigrazione (CNE), del Consiglio Generale dell’Union International des Organismes Familiaux, dei Comites e del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) e partecipa attivamente ai tavoli dei Consigli Territoriali dell’Immigrazione, della Commissione contributi Stampa Italiana all’estero della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fa parte dell’ICEPS -Istituto per la Cooperazione Economica Internazionale e i Problemi dello Sviluppo.
L’A.N.F.E., in altre parole, attua programmi di interrelazione tra politiche migratorie e di sviluppo attivando programmi culturali a sostegno delle iniziative di ricerca; a tale scopo si fa promotore, oltre che sostenitore, di numerosi progetti per la diffusione della cultura italiana all’estero e per la promozione di un’integrazione tra le comunità migranti. In questo delicato periodo di pandemia l’ANFE si è proposta di fornire il suo contributo nel veicolare le informazioni relative alla situazione pandemica, difficilmente reperibili dai nostri connazionali all’estero, e di supportare logisticamente gli italiani residenti al di fuori della nazione che volessero rientrare in Italia, ove necessario dialogando con le ambasciate competenti e gli uffici competenti”.

Cosa propone ANFE per sostenere le famiglie delle vittime quando gli incidenti accadono all’estero?
“La tragedia di Marcinelle ha indubbiamente sensibilizzato le nostre istituzioni che negli anni, grazie anche al lavoro della Farnesina, ha attivato programmi di supporto e di e monitoraggio delle attività dei nostri connazionali all’estero istituendo l’Unita di crisi che ha il compito di intervenire ogni qualvolta si presenti una criticità che veda coinvolti gli italiani in qualunque parte del mondo. Resta inteso che una sempre maggiore attitudine alla responsabilità sociale ed il rispetto delle norme di sicurezza sono i requisiti imprescindibili per evitare qualunque incidente come quello che abbiamo argomentato”.

Quanti sono gli italiani emigrati all’estero?
“I dati diffusi dall’Istat a Gennaio di quest’anno, relativi al 2019, indicano che gli italiani emigrati all’estero sono circa 180 mila ( il 14,4% in più rispetto al 2018) 3⁄4 dei quali di età compresa tra i 25 e i 49 anni, in possesso di un diploma o di una titolo di studi universitario e in cerca di condizioni lavorative migliori rispetto a quelle che il nostro Paese offre al momento. Il numero di italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni ammonterebbe a circa 899 mila (dato da aggiornare ovviamente)”.

L’Italia è ancora un Paese di emigrati o è di approdo per gli immigrati?
“Rispondere a questa domanda è tutt’altro che semplice, mi verrebbe da dire che è ambedue le cose. Se ci basiamo sul rapporto Istat a cui abbiamo fatto riferimento per rispondere alla domanda precedente [qui il rapporto Istat completo, ndr], è innegabile che l’Italia sia un paese con un’alta percentuale di emigrazione ma, sino al 2017/2018 avremmo risposto che era anche una meta di consistenti immigrazioni da parte di cittadini in fuga da Paesi poveri (principalmente Africani); oggi il fenomeno dell’immigrazione sembra rallentare. L’Istat, infatti, riporta un calo percentuale delle immigrazioni africane pari al 28% nell’ultimo decennio e del 7,3% in meno solo nel 2018. Nel 2019, a differenza degli anni precedenti, si è notato che le iscrizioni anagrafiche dall’estero dei cittadini stranieri provengono soprattutto da paesi europei: dalla Romania (13% del totale, -4%), dall’Albania (+29% rispetto all’anno precedente), dall’Ucraina (circa 7mila, -15%), dalla Moldova (6,5mila, +13%) e dal Regno Unito (4mila, +68%) e le immigrazioni di origine africana, in particolare quelle provenienti dal Marocco. Tra i flussi provenienti dall’area asiatica, continuano ad aumentare quelli dall’India (12mila, +10%), dal Bangladesh (12mila, -14%), dalla Cina (10mila, +2%) e Pakistan (10mila, -26%). In aumento le iscrizioni anche dall’America Latina (Brasile, Argentina, Venezuela). Le immigrazioni di cittadini italiani (68mila) provengono in larga parte da Paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana. Ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano, infatti, Brasile e Germania (che, insieme, originano complessivamente il 18% dei flussi di immigrazione italiana), il 7% dei flussi di rientro proviene dalla Romania, il 6% dal Regno Unito e il 5% dalla Svizzera. Per alcuni di essi è plausibile l’ipotesi del rientro in patria dopo un periodo di permanenza all’estero”.

Quali sono le motivazioni principali che spingono gli italiani ad emigrare all’estero?
“Sempre più spesso si sente usare l’espressione ‘fuga di cervelli’. Con questa espressione ci si riferisce proprio al trend in aumento degli espatri che risulta essere proporzionalmente connesso alle difficoltà del mercato del lavoro italiano di assorbire l’offerta, soprattutto dei giovani e delle donne. A queste si affianca un mutamento culturale relativo al vivere in un altro Paese che induce i giovani più qualificati a investire su se stessi per veder riconosciuto e valorizzato il proprio talento nei Paesi esteri in cui le opportunità di carriera e di retribuzione sono maggiori. Questa differenza culturale si registra in quelle che oggi definiamo generazioni globali, cioè nate e cresciute in epoca di globalizzazione in cui si guarda alle possibilità offerte dal mercato globale e non solo locale. Inoltre, un ruolo non indifferente, è giocato dal fallimento dei programmi di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, che ad oggi ancora non si rivelano sufficienti a trattenere le giovani risorse; quegli stessi giovani che rappresentano il capitale umano indispensabile alla crescita del nostro Paese”.

La tragedia di Marcinelle ha colpito moltissimi italiani andati in Belgio per dare un futuro migliore ai propri figli. Cosa ci insegna oggi una tragedia avvenuta 65 anni fa?
“La tragedia di Marcinelle ha coinvolto 168 italiani direttamente e le loro famiglie indirettamente. Bisogna tenere conto del periodo storico in cui ha avuto luogo ovvero tra il 1946 e il 1956, anni durante i quali più di 140mila italiani emigrarono per lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia con la chimera di condizioni di vita migliori. Secondo questo accordo l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore. Il nostro Paese a quell’epoca soffriva ancora degli strascichi della guerra (2 milioni di disoccupati e grandi zone ridotte in miseria) mentre nella parte francofona del Belgio, la mancanza di manodopera nelle miniere di carbone frenava la produzione. Così si arrivò al durissimo accordo italo-belga. A seguito delle indagini succedutesi negli anni post tragedia sono venute alla luce numerose possibili cause non solo dello scoppio in miniera ma anche dell’elevato numero di vittime causato, che avrebbe potuto essere minore. ANFE ha sempre partecipato, non solo da auditore ma anche in qualità di promotore, alle commemorazioni di quella tragedia in occasione della quale ANFE è stata in prima linea, offrendo un importante supporto alle famiglie dei nostri emigrati colpiti dalla tragedia di Marcinelle. Infatti, fu proprio a seguito di quell’azione supportiva che l’ANFE ricevette lo status di Ente morale dall’allora Presidente della Repubblica Italiana. Obiettivo delle commemorazioni, dunque, non è mai stato solo quello di ricordare e condividere il dolore della perdita con i familiari e i discendenti degli italiani morti, ma soprattutto quello di sensibilizzare le autorità competenti alla revisione della Legge regionale n. 55/1908. Di certo quella tragedia insegna a tenere sempre presente l’importanza ed il valore del rispetto di tutte le norme sulla sicurezza, tutela della salute in tutti i luoghi lavoro, che devono essere oggi una priorità irrinunciabile a tutela di tutti i lavoratori. Troppo spesso ci si nasconde dietro una falsa incompatibilità tra lo sviluppo economico ed elementi quali la sicurezza, la tutela dell’ambiente, la messa in sicurezza del territorio. Noi di ANFE riteniamo, invece, che anche la digitalizzazione e le nuove tecnologie possano essere impiegate al servizio della sicurezza, della prevenzione e di migliori condizioni nel mondo del lavoro. Certo è che questo richiede una volontà di investire di più sull’innovazione, sulla ricerca, sulla formazione delle nuove competenze utili a tal fine: questo serve urgentemente oggi!”.

Milena Castigli

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