La diplomazia di Francesco, arte della pazienza e della speranza

Padre Spadaro presenta nella sede de La Civiltà Cattolica il volume "L'Atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale", alla presenza di Giorgia Meloni e mons. Pietro Parolin

Giorgia Meloni e mons. Pietro Parolin
Foto © Palazzo Chigi

In un lontano discorso alle Nazioni Unite, san Paolo VI parlò della Chiesa come di un’istituzione “esperta” in umanità. Un messaggio che giunse nel 1965, quando il mondo diviso in blocchi era appena sfuggito al punto critico della crisi dei missili ma senza riuscire a liberarsi dalla morsa del fantasma della guerra totale. Erano state parole di conciliazione, di speranza e di fratellanza universale a impedire che l’umanità prendesse la deriva della catastrofe. Quella “diplomazia della misericordia” che, a distanza di cinquant’anni, Papa Francesco avrebbe posto come pietra d’angolo del suo Pontificato. In un mondo non più diviso dai blocchi ma ottenebrato da divisioni ideologiche e conflitti dimenticati. Da quelle crisi che, in modo costante, hanno costretto il Pontefice a ricordare l’importanza imprescindibile del concetto di fratellanza fra gli uomini del nostro tempo. C’è questo e molto altro nel libro di padre Antonio Spadaro “L’Atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale”, presentato nella sede di Civiltà Cattolica. Un compendio delle sfide epocali in un mondo in continuo mutamento, nel quale la Chiesa cerca di tenere alto il vessillo della misericordia reciproca e della cooperazione tra popoli.

Una visione evangelica

Al tavolo dei relatori c’è la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin. Un’occasione importante, nel decennale dell’elezione del Santo Padre, per quello che padre Spadaro chiama “un confronto critico con differenti prospettive“. Quella della politica, impegnata nel concreto, e quella della Chiesa stessa, voce guida nella comprensione della pietas tra gli uomini. Perché, ricorda padre Spadaro, “si parla spesso di alleanza piuttosto che di fratellanza. Tuttavia occorre aver coscienza di essere parte della famiglia umana, soprattutto in momenti critici come questo in cui, spesso, si confonde la parola ‘pace’ con ‘vittoria’”. Temi che diventano un inevitabile quesito: quali sono le nostre risposte agli appelli del Papa? Quel che è certo, ha spiegato mons. Parolin, è che oggi “comprendiamo sempre meglio il messaggio di Francesco”, in un momento storico in cui “i pezzi della terza guerra mondiale a pezzi vanno saldandosi tra loro” e nel quale è necessario “porsi al servizio della causa dell’uomo piuttosto che degli interessi nazionali”. E la Santa Sede, da parte sua, pone la sua diplomazia, basata “sulla visione spirituale ed evangelica dei rapporti internazionali. Una diplomazia viva, che unisce visioni differenti”.

La diplomazia della misericordia

Il cardinal Parolin ha tracciato le linee ideali che disegnano un concetto astratto ma estremamente concreto come quello della misericordia. La quale “si estende nel tempo, cambiando i contesti storici” e che si fonda sul “non considerare niente e nessuno come completamente perduto”. La diplomazia altro non è che “l’arte della pazienza e della speranza” e la Santa Sede non fa mancare la sua disponibilità nel momento in cui qualcuno “si impegna per la risoluzione dei conflitti”. Nemmeno in questa fase, in cui “la pace è la grande assente nella voce solista delle armi”. Ma nessuna azione “avente a cuore la pace è valida se contiene riferimenti anche solo vaghi alla guerra. La soluzione dei conflitti non giunge polarizzando e dividendo: l’unica soluzione realistica è il negoziato”. In un mondo che sembra aver dimenticato le lezioni del secolo scorso e che affronta, tra le divisioni, le sfide globali del nostro tempo, l’unica possibilità sta nel “sentirsi un’unica identità, una famiglia umana… Una pace che non sorge da uno sviluppo integrale di tutti non ha futuro”. Perché, ha ricordato mons. Parolin, “la fratellanza, nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia”.

Attenzione sulle periferie

La premier Meloni accoglie il messaggio di Francesco. E ne trae ispirazione per il suo intervento a braccio. A cominciare dalla frase storica con cui il Santo Padre si rivolse alla folla, definendosi un papa venuto “quasi dalla fine del mondo“. Un segno, secondo la presidente del Consiglio, “dell’attenzione che Francesco avrebbe posto a luoghi e popoli lontani, alle periferie, fisiche ed esistenziali”. L’interpretazione del messaggio del Pontefice avviene, ha spiegato Meloni, “nel momento più complesso, per il nostro Paese, dalla fine della Seconda guerra mondiale”. E attraverso una lettura sul tema della crisi, ovvero un momento di opportunità oltre che di rischio, secondo l’interpretazione che ne da il Pontefice stesso: “La crisi impone di scegliere, qualcosa che spesso il nostro Paese non ha fatto… Non scegliere, a volte, è più redditizio perché non rischi di scontentare qualcuno. Ma l’Italia non può più permetterselo. Ed essere costretta a farlo alleggerisce la mia coscienza. Bisogna assumersi delle responsabilità e cogliere opportunità dalle crisi”.

Migranti e Ucraina

Ripensare l’Italia come piattaforma strategica per l’accesso delle risorse come risposta alla crisi energetica. Condannare un approccio predatorio alla cooperazione per lo sviluppo. La premier rivendica la bontà del Piano Mattei, ricordando che cooperare significa “arrivare per lasciare qualcosa, da pari a pari. L’Africa non è un continente povero ma sfruttato. L’interesse per la produzione energetica, con investimenti seri, può produrre ricchezza sul suo territorio”. E sui migranti ha spiegato: “Io ho parlato con tantissime persone africane e ognuna di loro mi ha detto che il suo desiderio era restare nel proprio Paese. La cooperazione è un’arma di libertà. Non possiamo lasciare che dei criminali decidano chi può salvarsi e chi no. Ho posto la questione a livello strutturale ed europeo perché l’Italia non può farcela da sola”. E sull’Ucraina: “Non possiamo confondere l’aggressione con la pace. Se non aiutassimo l’aggredito non ci sarebbe la pace. Creare un equilibrio è indispensabile per un tavolo negoziale”.