Mafia: arrestati mandanti e autori di 4 lupare bianche. Ecco che fine hanno fatto le vittime

Le quattro vittime di lupara bianca di Canosa di Puglia, scomparse tra il 2003 e il 2015, sono state tutte uccise con colpi di pistola, i loro corpi bruciati e i resti dispersi

La Polizia di Stato di Bari e di Barletta Andria Trani ha eseguito stamane un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 8 pregiudicati, autori e mandanti di 4 episodi di lupara bianca.

I destinatari del provvedimento sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di omicidio premeditato, violazione della legge sulle armi e delle misure di prevenzione, distruzione di cadavere, violenza e minaccia a pubblico ufficiale in concorso, estorsione aggravata. Contestata anche l’aggravante mafiosa.

Gli arrestati

Le persone arrestate sono Daniele e Pasquale Boccuto di 41 e 30 anni, l’80enne Cosimo Damiano Campanella e il nipote omonimo di 39 anni, Sabino Carbone di 40 anni, Marco Di Gennaro di 30 anni, Claudio Pellegrino di 33 anni, Cosimo Zagaria di 37 anni. Lo riporta Ansa.

Il provvedimento è stato emesso a conclusione di indagini condotte dagli agenti della Squadra Mobile delle Questure di Bari e BAT e del Commissariato di Canosa di Puglia, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.

Le quattro vittime di lupara bianca

Sono Alessandro Sorrenti, 26 anni, e l’amico Sabino Sasso, 21 anni, entrambi scomparsi a dicembre 2003; Sabino D’Ambra, 34enne scomparso a gennaio 2010; e Giuseppe Vassalli, 26enne scomparso nell’agosto 2015; tutti pregiudicati di Canosa di Puglia (BAT), i quattro casi di lupara bianca risolti dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari che oggi ha arrestato 8 persone, ritenute a vario titolo mandanti e autori degli omicidi. I loro corpi non sono mai stati ritrovati. Per questo, tra i reati contestati, c’è anche quello della distruzione di cadavere.

Che fine hanno fatto le vittime: corpi bruciati e resti dispersi

Le quattro vittime di lupara bianca di Canosa di Puglia, scomparse tra il 2003 e il 2015, sarebbero state tutte uccise con colpi di pistola e poi i loro corpi bruciati e i resti dispersi. A Sasso, stando a quanto ricostruito dalle indagini della Polizia, sarebbe anche stato fracassato il cranio con una pietra.

Il movente: punizioni per infamità o tradimenti

Sabino D’Ambra sarebbe stato “punito” per la sua “infamità di confidente di polizia” che aveva portato all’arresto di un pusher del gruppo criminale. Giuseppe Vassalli, oltre ad aver “tradito” l’organizzazione mettendosi “in proprio” a spacciare droga, sarebbe stato anche punito per la relazione sentimentale con la ex fidanzata di uno del gruppo. Sabino Sasso e Alessandro Sorrenti sarebbero stati uccisi perché “voleva comandare sui traffici illeciti”.

L’inchiesta, coordinata dalla pm della Dda di Bari Luciana Silvestris, ha accertato anche altri reati commessi a vario titolo dagli arrestati: le minacce ad un ispettore di Polizia di Canosa, nell’agosto 2014, con l’esplosione di 6 colpi di pistola contro la sua auto; l’estorsione, “a titolo di protezione”, ai giostrai di un lunapark allestito in città in occasione della festa patronale del luglio 2015, dopo averli minacciati esplodendo 53 colpi di kalashnikov contro attrazioni ludiche e roulotte.