Caso Regeni: rinviati a giudizio quattro agenti egiziani

Le accuse nei loro confronti vanno dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate

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Dopo circa tre ore di camera di consiglio, il giudice dell’udienza preliminare di Roma ha disposto il rinvio ai giudizio dei quattro agenti dei servizi segreti egiziani che sarebbero accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore friulano Giulio Regeni a inizio 2016. Il processo è stato fissato per il prossimo 14 ottobre davanti alla terza Corte d’Assise, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia. All’udienza erano presenti i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni.

Il gup di Roma ha accolto l’impianto accusatorio del procuratore Michele Prestipino e del sostituto procuratore Sergio Colaiocco e ha respinto, in apertura di udienza, le istanze presentate dalle difesa in materia di “assenza” degli imputati. A detta del giudice è “volontaria” da parte dei quattro 007 la “sottrazione dal processo”.

“Un buon inizio”

”Finalmente abbiamo l’inizio di una verità processuale, un giudice oggi ha ritenuto consistente e convincente tutto il quadro probatorio che è stato costruito con il faticoso lavoro in questi 64 mesi dalla procura di Roma insieme con Ros e Sco e anche con il nostro lavoro”, ha commentato la decisione del gup il legale della famiglia Regeni Alessandra Ballerini. “Iniziamo a sperare che almeno il diritto alla verità non sarà tra i diritti inviolabili che sono stati lesi su Giulio, tutti gli altri diritti sono stati violati su di lui. La strada è ancora lunga ma è un buon inizio“, ha aggiunto.

Le accuse

Giulio Regeni è sparito nel nulla il 25 gennaio 2016 al Cairo, in Egitto, fin quando non è stato ritrovato il suo cadavere il 3 febbraio dello stesso, in una cunetta autostradale alla periferia della capitale egiziana.

Rinviati a giudizio sono quattro agenti della National Security egiziana, il generale Tariq Sabir ed i suoi sottoposti, gli ufficiali Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Nei loro confronti le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

“L’impossibile divenuto possibile”

Riporta Ansa che nel corso dell’udienza il pm Colaiocco ha affermato che ora il processo rappresenterà una nuova “sfida” per “ottenere” che i testimoni, in particolare quelli egiziani, vengano in Italia a raccontare quanto detto nel corso delle indagini. E una sfida sarà anche, per il rappresentate dell’accusa, “arrivare ad una sentenza di colpevolezza se non si riuscirà a far arrivare i testimoni in aula” anche se “nel corso delle indagini è divenuto possibile l’impossibile”.

Le testimonianze

Otto persone, scrive sempre Ansa, li accusano in modo chiaro e credibile. Tre testi, in particolare, avrebbero dato conferme sul fatto che i servizi segreti cairoti avevano pianificato i depistaggi già nelle ore successive alla morte di Giulio.

Uno dei nuovi testimoni, continua Ansa, ha raccontato che gli 007 sapevano della morte di Giulio dal 2 febbraio e per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”. Il testimone ha raccontato agli inquirenti italiani di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo, che ha denunciato il ricercatore italiano ai servizi egiziani.

Secondo i testi, riporta sempre l’agenzia, il torturatore di Giulio fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Fu lui, insieme a soggetti rimasti ignoti, a portare avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti nella periferia della capitale egiziana. Torture avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti per i “sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale“.