Crepe, lacune e contraddizioni della legge sull’aborto

Medici, economisti e giuristi di estrazione cattolica hanno prodotto un rapporto sui costi sociali ed economici di 42 anni di applicazione della legge sull’aborto

In Italia mancano all’appello sei milioni di cittadini e risorse finanziarie per oltre 11 miliardi di euro a causa dell’aborto. Questo fallimento demografico ed economico, imputabile al nostro sistema sanitario, è stato stimato nel primo rapporto sui costi di applicazione della legge 194/1978, elaborato dal gruppo di lavoro composto da economisti, medici e giuristi, con il patrocinio della SIBCE (Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici), dell’AIGOC (Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici), della Fondazione Il Cuore in una Goccia, e di Pro Vita & Famiglia.

Cosa emerge dallo studio

Lo studio presentato lunedì presso la sala Giubileo dell’università LUMSA di Roma mette in luce numerose crepe, lacune e contraddizioni della legge sull’aborto ma soprattutto il costo in termini di vite umane ma anche di relazioni e di equilibri sociali. Attraverso una rigorosa analisi dei primi quarant’anni di applicazione della legge emerge il costo finanziario sostenuto dalla collettività per la pratica abortiva, in un tempo, come il nostro – sottolineano gli autori del rapporto – in cui le risorse economiche a disposizione del sistema sanitario risultano drasticamente limitate e che richiedono pertanto un’equa distribuzione sociale.

Ci sono state dunque delle precise scelte politiche che agevolano la mera esecuzione dell’interruzione di gravidanza, tradendo lo stesso spirito della 194 che invece esorta tutte le istituzioni a rimuovere ogni ostacolo che impedisce alla donna di portare a termine la gravidanza.

Il costo economico

Per produrre questa serie di oggettivi fallimenti i contribuenti italiani hanno dovuto impiegare ingenti risorse economiche. I ricercatori hanno stimato che nei primi quarant’anni di applicazione della legge il costo cumulato per il finanziamento degli aborti legali si sia aggirato intorno ai 5 miliardi di euro, circa 120 milioni di euro all’anno, una somma che se fosse stata accumulata ogni anno, a fronte di un “accantonamento” totale (in termini reali) di 4 miliardi e 847 milioni, sarebbe valutabile in un fondo che avrebbe maturato rendimenti per 6 miliardi e 362 milioni di euro fino a raggiungere una capitalizzazione totale di 11 miliardi e 209 milioni di euro. Numeri, questi, che si riferiscono solamente alle spese sanitarie e che non prendono in considerazione i costi sociali della denatalità, della mancanza di 6 milioni di giovani italiani sotto i 40 anni che oggi potrebbero contribuire alla creazione di benessere e lavoro per la nostra nazione.

Il danno psicologico e fisico della donna

Fra le altre cose la ricerca mette in evidenza che l’aborto non uccide solo il figlio ma danneggia anche la salute psichica e fisica della madre e che questa realtà viene celata per questioni di ordine ideologico. Le donne per essere veramente libere dovrebbero invece conoscere tutte le conseguenze di questa pratica prima di prenderla in considerazione, affinché la loro scelta sia veramente consapevole e non frutto di pressioni esterne di soggetti che non hanno minimamente a cuore la sua salute e quella del bambino. “Questo potrà ottenersi – si legge nel rapporto – solo rendendo più severi gli obblighi di segnalazione delle complicanze insorte a seguito di aborto”.

Per quanto riguarda i costi standard si passa dai 250 euro di un aborto farmacologico effettuato entro il terzo mese nel sistema sanitario nazionale ai 4400 per un aborto oltre il terzo mese eseguito in ricovero ordinario e dopo un percorso diagnostico. Il costo medio nel 2018 (ultimi dati disponibili) si aggirava interno ai 1000 euro. Secondo il gruppo di esperti pro–life i dati ministeriali non prendono in considerazioni molti altri costi annessi all’aborto come quelli relativi alle complicanze di medio e lungo termine. Oltre tutto non esistono dati sicuri sugli aborti farmacologici indotti dall’assunzione della pillola del giorno dopo o altre sostanze analoghe come la ru-486. Ci sono poi i costi inerenti la cosiddetta diagnostica genetica difensiva pre-natale, una parte dei quali andrebbe imputata alla 194, e ancora non sono calcolati i costi delle conseguenze fisiche e psiche sulle donne e i costi dell’infertilità che può essere provocata da un aborto.

Davanti a questa storia fallimentare sembra ancora difficile una presa di coscienza collettiva nel Paese. “Il lavoro vuole suscitare – si legge in conclusione – un dialogo aperto e basato sudati oggettivi e vuole offrire un reale sostegno alle donne”.

Il parere degli esperti

Il rapporto è stato presentato alla Lumsa dagli stessi esperti che hanno contribuito alla sua redazione. Giuseppe Noia, Direttore Hospice perinatale del Policlinico Gemelli ed esperto di cure prenatali del feto ha posto l’accento sul fatto che l’articolo 5 della legge 194 dice di dare un’alternativa all’aborto eugenetico e ha illustrato le alternative a questa pratica: “Per prima cosa in caso di anomalie cromosomiche si può proporre l’assunzione di antiossidanti alla madre per ridurre il danno neurocognitivo come dimostrato in letteratura; in secondo luogo, in caso di malformazioni strutturali, senza alterazioni cromosomiche, si possono proporre terapie fetali invasive e non invasive eco guidate e/o trattamenti palliativi; infine in caso di condizioni di gravi e complesse patologie si può proporre l’alternativa dell’accompagnamento. Per cui esiste una scienza prenatale che al di là dei fattori ideologici fornisce risposte scientifiche, etiche e umane”.

L’intervista

Stefano Martinolli, Dirigente medico presso l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina a Trieste, parlando con InTerris ha ricordato che l’aborto non è questione ideologica ma di impatto concreto sulla società italiana: “I nostri sono dati sottostimati che dimostrano che c’è stata una spesa pubblica di non poco conto per l’interruzione di gravidanza, in un momento storico in cui sono stati ridotti molti servizi sanitari”.

Anche Benedetto Rocchi, Professore associato al Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa all’Università di Firenze ha sottolineato che le scelte dell’allocazione delle risorse sono di carattere politico e che “si potrebbe allocare queste spese sanitarie su altri tipi di spesa per il sostegno della natalità”. “Il rapporto del banco farmaceutico mostra che nel 2019 – ha aggiunto – quasi 8 milioni di famiglie non povere hanno dovuto sospendere o limitare le spese sanitarie, questo dice che la sanità pubblica non copre tutte le prestazioni sanitarie”.

Francesca Romana Poleggi, Docente di Discipline giuridiche ed economiche e Direttore editoriale del mensile Notizie Pro Vita & Famiglia ha definito la 194 come una legge “maschilista e sessista” poiché deresponsabilizza il padre del nascituro lasciando la donna da solo davanti alla scelta, “deresponsabilizza la società facendo diventare l’aborto un fatto privato, anche perché lo Stato difronte una gravidanza difficile non offre aiuti concreti”.

Nessuna legge è intoccabile, la 194 può essere rivista anche alla luce delle attuale evidenze scientifiche”, tutti gli esperti concordano infine nel richiedere quanto meno un tagliando della legge 194 che dopo 40 anni mostra moltissime crepe. Aggiornare e rivedere alcuni aspetti di una normativa vecchia di quattro decenni è quindi un dovere morale difronte ad una società italiana più anziana e ripiegata su sé stessa.