Amazzonia, Bolsonaro accusa: “Denunceremo i Paesi che deforestano”

Il presidente brasiliano punta il dito su chi alimenta il mercato del legname con gli alberi amazzonici. Ma il ricordo del caso incendi del 2019 è ancora vivo

Nell’estate 2019 non si parlava ancora di coronavirus. Non che mancassero i dossier caldi naturalmente. Alcuni dei quali particolarmente roventi e non solo per la delicatezza dei loro contenuti. Australia e Amazzonia, migliaia di chilometri di distanza ma un comune denominatore fatto di fiamme, cenere e devastazione. Gli arbusti dell’isola oceaniana così come la foresta pluviale del Sud America, alle prese con ettari interi di vegetazione andata in fumo, con effetti collaterali sulla popolazione (anche indigena) e sulla fauna. E le colonne di cenere sollevate dalla combustione degli alberi amazzonici ha fatto rumore. Con accuse partite praticamente da ogni parte del globo direttamente alla volta di Planalto, nel cuore di Brasilia, dove il presidente Bolsonaro si era già inserito da quasi un anno. Sul leader del Brasile, l’indice puntato degli enti ambientalisti, con l’accusa (sempre respinta) di aver indirettamente favorito le politiche di disboscamento in nome dell’estensione dei terreni agricoli.

L’annuncio di Bolsonaro

Amazzonia che era finita al centro persino di un sinodo dedicato, con uno sguardo non solo sulla valenza della regione per la salute del pianeta ma anche sui popoli ancestrali che la abitano. Prime vittime, dirette e indirette, dell’evaporazione della loro foresta. Oggi è proprio il presidente Bolsonaro a puntare il dito, mettendo nel mirino “Paesi stranieri” accusati di fomentare il mercato del legname frutto della deforestazione amazzonica. “Nei prossimi giorni riveleremo i nomi dei Paesi che importano legname illegale dall’Amazzonia. Alcuni di loro sono i critici più severi del mio governo nei confronti della regione amazzonica: penso che dopo questa dimostrazione tale pratica diminuirà molto”. Annuncio fatto durante il vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) senza fare nomi. Per ora. “La nostra polizia federale ha messo a punto un metodo con gli isotopi che permette di identificare la posizione del legno sequestrato, e non solo di quello sequestrato, ma anche di quello esportato”.

Il caso Amazzonia

Eppure, secondo le organizzazioni per la tutela ambientale, il punto di non ritorno sulla questione si è avuto proprio con l’insediamento di Bolsonaro a Planalto. La cui politica avrebbe favorito indirettamente l’azione dei taglialegna, in virtù di un incoraggiamento allo sfruttamento delle risorse minerarie. Accusa che, pur senza supporto di prove, il presidente ha rispedito al mittente paventando l’ipotesi di un intento di diffamazione nei confronti del governo. Di sicuro, solo i numeri. Il bilancio drammatico degli ettari di foresta bruciati: 83 mila roghi in 8 mesi, i primi del 2019. Un dato che, nella corsa alle presidenziali del 2022 che Bolsonaro intende compiere, non potrà essere ignorato.