SULLE TRACCE DEI SANTI PIETRO E PAOLO

Santi Pietro e Paolo. Uno era un povero pescatore della Galilea; l’altro un fariseo tessitore di tende dell’Impero Romano. Due personaggi profondamente diversi, come diversi furono i loro modi di incontro e relazione con Gesù, che oggi la Chiesa celebra insieme quali pilastri fondamentali della fede cristiana. Quella odierna è una solennità antichissima, inserita nel martirologio romano molto tempo prima del Natale. Già nel IV secolo, a Roma, si celebravano già tre Sante Messe: una nella chiesa di San Pietro in Vaticano, l’altra in San Paolo fuori le mura, la terza alle catacombe di San Sebastiano, dove probabilmente vennero nascosti per un certo tempo, all’epoca delle invasioni barbariche, i corpi dei due Apostoli. Fin dal giorno del loro martirio, avvenuto tra il 64 e il 67 d.C. durante le persecuzioni di Nerone, i cristiani hanno avvertito il bisogno di recarsi a Roma per “confessare” la propria fede sulle tombe degli Apostoli. Il loro culto si diffuse rapidamente in tutto l’Impero. Col passare dei secoli, la città di Roma ha visto sorgere chiese e cappelle in onore dei suoi patroni, dal carcere mamertino, il più antico al mondo, passando per la cappella del “Quo vadis”, situata lì dove l’Appia antica incrocia via Ardeatina, fino alle imponenti e maestose basiliche pontificie.

“Quo vadis, Domine?”

Alcuni testi apocrifi, infatti, narrano quello che è probabilmente quello che è il racconto più conosciuto legato alla figura di San Pietro. A Roma imperversava la persecuzione di Nerone contro i cristiani. Il primo Papa, convinto dai suoi fedeli, decise di abbandonare la Capitale. Nella notte, mentre lasciava la città, ebbe una visione: Gesù gli veniva incontro, verso l’Urbe. Pietro gli domandò: “Quo vadis, Domine?“, che significa: “Signore, dove vai?”. Cristo rispose: “Torno a Roma, per essere crocifisso di nuovo”. In quel momento l’Apostolo capì che sarebbe dovuto tornare indietro, andando incontro al martirio. La tradizione ha fatto sua questa leggenda, sopravvissuta nel tempo anche grazie agli scritti di alcuni Padri della Chiesa, come Sant’Ambrogio, che nella “Lettera contro Auxentius” citò l’apparizione. Oggi, una cappella ricorda l’episodio. Non abbiamo attestazioni della sua esistenza prima dell’XI secolo. La prima menzione si trova in una bolla di Gregorio VII del 1074, in cui si fa riferimento ai beni donati alla basilica di San Paolo fuori le mura. Tra questi viene elencata la chiesa di “Sancta Maria quae cognominatur Domine-quo-vadis”. Altri successivi documenti la ricordano come la chiesa di “Sancta Maria ubi Dominus apparuit”. Fu eretta nel IX secolo e riedificata nel 1637 per volere del cardinal Francesco Barberini, a seguito di un violento temporale che quasi dieci anni prima la devastò. Nella chiesa è conservata una copia della pietra sulla quale si ritengono vi siano le impronte dei piedi di Gesù. In realtà, secondo gli studiosi, sarebbe un ex voto proveniente da un santuario pagano.

Il martirio

Anche se la tradizione sostiene la presenza negli stessi anni, a Roma, dei due Apostoli, non abbiamo prove certe dei loro incontri, nella quotidianità, nelle strade o nei luoghi nei quali celebravano le prime Messe. Unica caratteristica comune a questi grandi personaggi è il martirio. Paolo venne ucciso “con la spada”, perché godeva dello status di cittadino romano. La sua esecuzione avvenne nella località denominata “Acque Salvie”. Il suo nome mutò in “Tre Fontane” dopo che la testa dell’Apostolo, decollata, ruzzolò per tre volte sulla terra. Ad ogni tocco, sgorgò una fonte d’acqua. Pietro, invece, fu portato sul colle Vaticano, considerato sacro poiché lì avvenivano i “vaticini”, ovvero si consultavano gli oracoli. Essendo cristiano, venne condannato alla crocifissione. Ma sentendosi indegno di morire come il suo Maestro, il Principe degli Apostoli chiede di montare la croce al contrario. A differenza del corpo di San Paolo, che venne sepolto in un altro luogo, distante da quello del martirio, quello di Pietro fu interrato a pochi passi dal luogo del martirio. Su entrambe le tombe, nel giro di pochissimo tempo, sorsero due edicole.

La cappella di Tre Fontane

Nella zona in cui San Paolo venne giustiziato, oggi sorge il complesso dell’Abbazia delle Tre Fontane. Qui sorge una chiesa dedicata a Saulo risalente al 1599, ad opera di Giacomo della Porta, commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini. Due statue sovrastano il timpano della facciata: quelle di San Pietro e di San Paolo realizzate dal “Franciosino”. Dal vestibolo si accede alla navata, trasversale rispetto all’ingresso, con due cappelle ai lati e l’abside al centro. Sul pavimento è stato posto un mosaico romano ritrovato a Ostia Antica nei pressi del Mitreo del Palazzo Imperiale, risalente al II secolo d.C. In una delle cappelle laterali è conservata la colonna tronca dove secondo la tradizione sarebbe stato legato l’Apostolo durante il martirio. Le “tre fontane” si trovano allineate lungo la parete della navata, a uguale distanza l’una dall’altra ma a diverso livello dal pavimento, disposte in edicole a nicchia. Le fonti, chiuse dal 1950, sono sormontate da tabernacoli, ciascuno dei quali era abbellito con un bassorilievo di Nicolas Cordier, rappresentante la testa di Saulo. Oggi non si possono più ammirare perché trafugati. Dietro l’edicola della fonte centrale, sulla parete dell’abside, è rappresentato il martirio di San Paolo.

La basilica di San Paolo fuori le mura

Il corpo di San Paolo venne deposto a due miglia dal luogo del martirio, nell’area sepolcrale che la cristiana Lucina possedeva sulla via Ostiense. Fu possibile seppellirlo in una necropoli romana, anche se cristiano, proprio perché cittadino romano. La sua tomba divenne subito oggetto di venerazione; su di essa viene edificata una “cella memoriae”, nella quale, durante i secoli della persecuzione, si recavano a pregare i fedeli. A circa 1,37 metri sotto l’attuale Altare Papale, una lastra di marmo, composta da diverse parti. Quella che porta il nome latino di “Paulo”, è munita di tre buchi, uno rotondo e due quadrati. Sopra vi è posto un sarcofago sul quale successivamente furono costruiti gli “Altari della Confessione”. Con la fine delle persecuzioni e la promulgazione degli editti di tolleranza verso il cristianesimo, all’inizio del IV secolo, l’imperatore Costantino fece innalzare una Basilica, consacrata da Papa Silvestro nel 324. Ristrutturata ed ingrandita tra il 384 e il 395, la chiesa non cesserà lungo i secoli di essere oggetto di abbellimenti e di aggiunte da parte dei Papi. Nella notte del 15 luglio 1823 un incendio ha distrutto questo tempio ricco di testimonianze paleocristiane, bizantine, rinascimentali e barocche. Nel 1840 viene ricostruita in modo identico, riutilizzando gli elementi risparmiati dal fuoco, e riconsacrata da Gregorio XVI.

San Pietro in Vaticano

Sul luogo dove venne sepolto San Pietro, a pochi passi dal luogo del martirio, nel II secolo d.C. venne edificata un’edicola messa a protezione della sepoltura dell’Apostolo. Costantino diede avvio, nel 324, alla costruzione della basilica. Consacrata nel 329, la grande chiesa si presentava come un edificio a pianta longitudinale a cinque navate e transetto. All’esterno una scalinata conduceva al quadriportico antistante la Basilica, noto anche come Paradiso, al cui centro si trovava una fontana per le abluzioni dei catecumeni identificata con la grande pigna di bronzo, ricordata anche da Dante nella Divina Commedia, e oggi collocata nell’omonimo Cortile dei Musei Vaticani. Verso la fine del 1300 la struttura recava i segni del tempo e dell’usura. Venne ristrutturata a cavallo tra il Rinascimento e il Barocco. Nel cuore della chiesa, l’Altare Papale è sovrastato dal noto Baldacchino bronzeo, opera giovanile del Bernini, eseguito tra il 1624 e il 1632. Alto 29 metri, venne commissionato dal Papa Urbano VIII Barberini per riempire il “vuoto” al di sotto della cupola, creando così un moto ascensionale verso l’alto. Per la sua fusione si utilizzarono le formelle bronzee che ornavano il soffitto del pronao del Pantheon, da cui il famoso detto “Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini” (“Quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini”). Il Baldacchino è composto da quattro colonne tortili ornate con scanalature a spirali, rami di olivo e di alloro, e capitello composito; la copertura, con volute e statue angolari di straordinaria eleganza, culmina con una sfera di bronzo dorato. Da notare le nappe con le api che sembrano quasi simulare l’effetto del soffio dello Spirito Santo. A livello sottostante si trova la “tomba di San Pietro”, nella quale, secondo la tradizione, sono conservati i resti dell’Apostolo. Il sepolcro non è visibile dal livello dell’attuale basilica. L’urna che si intravede sotto l’immagine del Cristo Pantocreatore conserva il “pallio”, la striscia di lana che il Papa consegna ai Vescovi quali simbolo del pastore che porta sulle spalle le proprie pecore. Sopra il Baldacchino si erge maestosa la cupola: 18 tonnellate di un materiale molto simile al cemento sorrette da 16 costoloni, straordinaria opera ingegneristica ideata da Michelangelo Buonarroti, che non la vide mai completa.

Le colonne della Chiesa

Pietro e Paolo sono due nomi che nel corso della storia hanno personificato la Chiesa. A loro si è giunti anche a “confessare” i peccati, come recita il “Confiteor”, proprio perché si riconosce in loro la Chiesa storica. Anche per gli Orientali, questi due “fratelli nella fede“, sono sinonimo di tutto il collegio apostolico, quali pietre fondamentali della vita cristiana. Questo concetto venne ribadito da Benedetto XVI nel 2008. Definì questa solennità quale “segno della Pentecoste” divenuto realtà. “La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo – aggiunse Ratzinger -, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli”. Qualche anno dopo, Papa Francesco, nell’omelia pronunciata durante la Messa per la consegna del “pallio” ai vescovi, portò l’attenzione sulla figura delle chiavi e sulla loro duplice funzione di apertura e chiusura. Evidenziando una delle tentazioni che la Chiesa da sempre ha avuto, quella di chiudersi in se stessa, Bergoglio ha suggerito la soluzione per vincerla: la preghiera, la stessa che ha liberato San Pietro dal carcere e aiutato San Paolo nella sua missione evangelizzatrice. Essa, conclude, “permette alla grazia di aprire una via di uscita: dalla chiusura all’apertura, dalla divisione all’unità”, rendendo quella di oggi una “festa di comunione per tutta la Chiesa“.