REGIONALI, PARTITI A PEZZI

Con i sondaggi che vanno in soffitta, come prevede la legge, a scendere in campo sono i mezzi tradizionali delle campagne elettorali. Un cambio tattico e tecnico che rende palpabile un elemento considerato secondario: i partiti e le correnti stanno facendo salire al massimo i giri dei rispettivi motori accesi per le regionali. A sinistra, per esempio, questa tornata elettorale sarà l’occasione per l’ennesima cavalcata della minoranza Pd che non si rassegna a perdere. Renzi, dal canto suo ha capito che l’esito delle elezioni regionali non sarà certo un sette a zero per il Pd, tanto meno un sei a uno ma probabilmente un quattro a tre. Fantapolitica? Ipotesi da scommettitori incalliti? Armatevi di pazienza e seguiteci nel ragionamento. Nell’intervista che il premier ha concesso al quotidiano La Repubblica nei giorni scorsi, Renzi non ha calcato sul valore campale del 31 maggio. Anzi, ne ha rimarcato quello di appuntamento circoscritto. La percezione è che dovrebbe finire con Umbria, Toscana, Marche e Puglia al Pd e Liguria, Veneto e Campania al centrodestra.

Possibile che vada così? Possibile ma non probabile. Ed è proprio questo particolare a rendere le regionali un fatto politico particolarmente importante, niente affatto marginale, come vorrebbe far credere il presidente del Consiglio. Il quale, quando sente odore di bruciato, cambia percorso, devia l’attenzione dell’opinione pubblica, indicando la luna di turno per non far vedere il dito. Il caso montato ad arte sulla riforma della scuola è da manuale. Creando una linea Maginot ha inchiodato i sindacati sul fronte della Buona Scuola. Nel frattempo il suo esercito si muove sul tema dei candidati impresentabili tenendo gli elettori a debita distanza. Un mago.

Eppure, nonostante questo quadro, sono già iniziate le analisi sulla fine del cosiddetto effetto Renzi, indotte dalle elezioni nel trentino (e sicuramente di Aosta, Bolzano ecc.) e un 4 a 3 nelle regionali rimane un successo più trionfante delle europee per l’ex sindaco di Firenze. Renato Brunetta, volendo spiegare le ragioni della sconfitta di Forza Italia, ha affermato che si è trattato di una debacle di Renzi, ma tra le amministrative e le regionali di oggi e le europee di un anno fa c’è di mezzo il governo del Paese. Dunque l’equazione Brunetta lascia il tempo che trova. Anche perché Forza Italia è alla ricerca disperata di un centro di gravità permanente al quale attaccarsi per non finire nel limbo dei senza tempo e senza elettori. Volendo andare oltre, nel corso di questo anno, il premier è stato accerchiato dalla minoranza del Pd, che ormai gli fa la guerra. Il catalogo della casa, sia pur aggiornato per difetto, è questo.

Qualsiasi altro leader politico avrebbe chiuso i battenti. Renzi no. Ma un 4 a 3 nelle regionali, oltre a ridare un po’ d’aria al Berlusconi fuori giri e fuori sincrono rispetto al Paese e linfa al bersanesimo moderno, riaprirebbe alcuni problemi irrisolti e reali nel Pd. Non tanto sull’identità, sul programma, sul governo, o sulla strategia nazionale, per certi versi inappuntabile, ma sul partito nel territorio. Perché è nelle terminazioni nervose Democratiche che agisce ancora una classe dirigente difficilmente catalogabile nel nuovo corso: trasformista, opportunista, ancorata a usi e costumi e del passato. Uno schiaffo alle certezze del leader. È così ovunque: dal Veneto alla Liguria, per non dire della Campania. Casi, come quello della Liguria, dove la formazione sostenuta dai civatiani dà la spinta a Toti di Forza Italia è la prova più lampante di come le primarie non siano la soluzione a tutti i mali. Ma è anche esempio di come il problema trascurato e mai risolto nel partito tra diritti e doveri di maggioranza e minoranza provochi queste anomalie anti-politiche.

Davanti ci sono due scadenze solo in apparenza lontane. Il prossimo congresso del Pd nel 2017 e le elezioni politiche che difficilmente arriveranno alla scadenza naturale del 2018. È evidente che Renzi deve ripresentarsi come segretario del Pd e candidato premier. Non ci sono, oggi, alternative in coloro che ci stanno intorno. E nemmeno può pensare di staccare i ruoli (segretario-premier) a metà dell’opera. Sarebbe un ritorno al passato. La macchina, il partito, però non c’è. Ecco perché le regionali saranno un momento catartico per tutti, una linea del Piave dal quale nessuno potrà prescindere. Tanto a sinistra, quanto a destra si vanno prefigurando alleanze strategiche, Verdini che passa con Renzi, Fitto che molla Berlusconi e Salvini che aggrega l’intera area che sta a destra del centro, capaci di cambiare la scena. Ma non lo scenario. Perché quello, almeno per ora, resta un affare di Renzi. Anche se dovesse finire 4 a 3….