Erdogan, un “califfo” in udienza dal Papa

Ipresidenti turchi si vedono raramente in Vaticano: l’ultimo che ha visitato la Santa Sede è stato Celal Bayar che nel 1959 fu ricevuto da Giovanni XXIII. In quel lontano 1959 non c’erano ancora rapporti diplomatici tra Turchia e Santa Sede ma il Papa aveva un rapporto particolare con quel Paese: Giuseppe Angelo Roncalli era stato delegato apostolico in Turchia dal 1934 al 1943.

Quando all’inizio di gennaio di quest’anno sulla stampa turca è apparsa la notizia della progettata visita di Erdogan Recep Tayyip da Francesco, la Sala Stampa vaticana ha confermato la notizia: il presidente turco viene ricevuto oggi dal Papa, la mattina nella Biblioteca del Palazzo Apostolico.

Va detto che tanti capi medio-orientali hanno contattato Francesco dopo la decisione del presidente Donald Trump di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme: prima il Papa aveva ricevuto una telefonata dal presidente palestinese Abu Mazen, il 19 dicembre ha ricevuto in Vaticano il re di Giordania Abdullah II, nelle scorse settimane anche lo stesso Erdogan ha telefonato due volte a Francesco. Il presidente turco aspira a rappresentare il mondo musulmano in un confronto con gli Stati Uniti intorno allo status di Gerusalemme, per questo motivo il 13 dicembre scorso, ha ospitato un vertice straordinario della Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) per affrontare la questione.

Anche Papa Francesco ha espresso più volte la sua preoccupazione. Nella lettera che il Pontefice ha voluto spedire per la conferenza su Gerusalemme che si è svolta all’Università Al-Azhar al Cairo si legge che la Santa Sede “non cesserà di richiamare con urgenza la necessità di una ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi per una soluzione negoziata, finalizzata alla pacifica coesistenza di due Stati all’interno dei confini tra loro concordati e internazionalmente riconosciuti, nel pieno rispetto della natura peculiare di Gerusalemme, il cui significato va oltre ogni considerazione circa le questioni territoriali”. E aggiunge che “solo uno speciale statuto anch’esso internazionalmente garantito potrà preservare l’identità, la vocazione unica di luogo di pace alla quale richiamano i Luoghi sacri, e il suo valore universale, permettendo un futuro di riconciliazione e di speranza per l’intera regione”.

Erdogan, senz’altro, vuole sfruttare la convergenza della posizione del Papa sullo status di Gerusalemme per mostrarsi come un leader mondiale. Ma non dobbiamo scordarci che si tratta di un presidente da più parti accusato di aver instaurato nel suo Paese un dittatoriale regime islamico. Della situazione in Turchia del “califfo” Erdogan nel giorno della sua visita in Vaticano proponiamo un’intervista alla giornalista Marta Ottaviani, esperta di Turchia, autrice del libro Il Reis: come Erdogan ha cambiato la Turchia” (ed. Textus – 2016).

Quando ci siamo incontrati per parlare della Turchia di Erdogan, abbiamo ricordato il presunto maldestro “golpe di Stato” del 15 luglio 2016 che sarebbe servito al presidente a scatenare un vero contro-golpe per eliminare tutti suoi veri e presunti avversari e nemici, prima di tutto appartenenti a Fetö (l’organizzazione che fa capo a Fethullah Gülen, ex imam, ora guida spirituale e businessman in autoesilio negli Usa), militanti curdi e giornalisti che non seguono ciecamente la “rivoluzione” di Erdogan. La repressione di Erdogan continua ancora?
Purtroppo, non si è mai fermata. Ci sono 1800 dipendenti pubblici che sono stati reintegrati, ma per il resto, dal luglio 2016, gli arresti non si sono fermati un attimo. Con l'operazione militare in Siria, poi, si sta ancora più concentrando sui curdi. Erdogan è riuscito a cambiare la Costituzione in senso presidenzialista (controlla la magistratura e nomina dei ministri), ha ‘silenziato’ i media indipendenti, ha imprigionato migliaia di magistrati, militari e poliziotti che erano il fondamento dell’amministrazione della laica Turchia voluta da Ataturk e sta rapidamente islamizzando la società”.

A che cosa mira il presidente Erdogan?
“Erdogan ha due obiettivi. Il primo è quello di diventare il padrone assoluto del Paese e per farlo in tutta sicurezza deve comunque aspettare il voto politico e quello presidenziale che si terranno entrambi nel 2019. Il secondo è quello di fare contare sempre di più la Turchia a livello internazionale”.

Come mai Erdogan continua ad avere l’appoggio della maggioranza dei turchi, anche di quei milioni che vivono in Europa?
“I sostenitori di Erdogan si dividono sostanzialmente in due famiglie, che a volte coincidono. Chi lo appoggia perché crede in lui, e sono comunque a maggioranza, e chi lo appoggia perché crede che gli convenga. C'è poi chi lo vota perché lo ritiene l'unica soluzione possibile, data anche la mancanza di reali alternative”.

Quali sarebbero gli scopi geopolitici della aggressiva politica estera di Erdogan?
“Erdogan mira alla creazione di sfere di influenza in luoghi dove una volta c'era l'Impero Ottomano. Anche la costruzione di basi militari a Doha fa presumere che il suo obiettivo sia il contenimento della cordata sunnita che fa capo a Riad”.

Alcuni sostengono che Erdogan sarebbe un dittatore “fascista-islamico”. Sei d’accordo con questa descrizione?
“Starei molto attenta a utilizzare l'aggettivo 'fascista'. Il fascismo è stato un periodo storico drammatico, con connotati e figure ben precise. Quello che possiamo sicuramente dire di Erdogan è che si tratta di un leader sempre più autoritario, che sta instaurando in Turchia un regime dove la componente religiosa è sempre più predominante”.

Il testo in polacco è stato pubblicato sul settimanale “Niedziela” (nr.5/2018)