Il padre della bioeconomia

Il 4 febbraio 1906 nasceva nella città di Costanza (Romania) colui il quale, divenuto economista, sarà il padre della teoria bio-economica e l’ispiratore del concetto di decrescita, oggi ripreso e sviluppato da pensatori quali Serge Latouche e Maurizio Pallante.

L’impianto teorico di Nicholas Georgescu-Roegen, relegato all’oblio dall’accademia e dalla dottrina politica del pensiero unico, è il risultato di un percorso di studio interdisciplinare che ha toccato in profondità sia le scienze naturali sia le scienze sociali, per arrivare a compiere una mirabile sintesi che trascende i confini rigidi degli schemi tradizionali dell’economia classica nei quali risultano segregati anche quei sistemi dottrinali sconfitti dalla storia per il loro carattere ideologico sovversivo dell’ordine costituito dei rapporti di classe.

La Bioeconomia non è solo una proposta alternativa di indirizzo politico-economico, è un criterio generale di interpretazione della realtà che trovando fondamento nell’evidenza scientifica si affranca da declinazioni ideologiche.

L’intuizione originale ancorché semplice dell’economista rumeno, formatosi negli Stati Uniti con Joseph Schumpeter, è stata quella di ricomprendere ogni forma di processo produttivo nelle categorie concettuali della fisica moderna. Materia, energia e lavoro, a prescindere dal loro utilizzo culturale, ubbidiscono necessariamente alle leggi ineluttabili della natura. In particolare Roegen muove dai postulati della termodinamica per cui, allo stato attuale delle conoscenze, l’energia a diposizione nel sistema terra – che include anche il sole come fonte primaria – è data e finita, ovvero non si crea e non si distrugge (Prima legge della termodinamica).

Se è vero che l’energia non si distrugge, è altrettanto vero che una volta utilizzata per compiere lavoro questa diventi indisponibile,  sotto forma di calore, aumentando il livello di entropia del sistema. In altri termini, più sfruttiamo l’energia a nostra disposizione nelle sue svariate forme, più acceleriamo il processo inesorabile verso uno stadio futuro di inerzia generale dove ogni forma di vita avrà termine.

Messa così è facile intuire perché l’uomo di ieri e di oggi non abbia preso a cuore un futuro ancora lontano rispetto alla dimensione temporale del vivere quotidiano. Sul finire del secolo scorso, a seguito degli choc energetici globali e di un dibattito pubblico sulla preservazione ambientale, prendono forma le prime teorizzazioni sullo “sviluppo sostenibile” – con tutte le sue contraddizioni – che troverà riconoscimento politico definitivo nel Protocollo di Kyoto, emblema della nuova coscienza ecologica globalizzata.

Roegen ha avuto il merito – o la colpa – di stravolgere i termini della dialettica politica ed economica peculiari di un paradigma esclusivamente antropocentrico, riportando l’uomo alla sua dimensione reale di anello prezioso, ma pur sempre anello, di una concatenazione di elementi vitali interdipendenti. La preservazione dell’ambiente di cui l’essere umano è parte integrante, diventa così la nuova morale di pace e convivenza reciproca; il pensiero rivolto alle generazioni future, il senso alla vita terrena per trascendere l’idea della morte.