Premio Agata Smeralda a Carlo Casini: amico delle vite rifiutate, minacciate e dimenticate

“Che cosa è l’uomo perché te ne curi? Il figlio dell’uomo perché ti ricordi di lui?” (sal.8)  Il 5 febbraio del lontano 1445, una bambina fu abbandonata nello “spedale” di Firenze, come si usava all’epoca quando le madri non potevano prendersene cura. Quella bambina fu chiamata Agata, come la santa vergine e martire che in quel giorno la Chiesa commemora. Anche questo si usava. Ma chi, al posto della madre, si prese cura di quella creatura, scelse per lei un secondo nome: Smeralda. Perché nel ricordo di ogni vita che viene al mondo, riteneva, brilla un tesoro prezioso. Quella bimba non sopravvisse alla fame, agli stenti, alle infezioni che aveva contratto, però fu un punto di luce strappato al buio della dimenticanza e dell’indifferenza, e la sua storia è diventata un ponte che attraversa i secoli e i continenti. L’associazione fiorentina “Agata Smeralda”, che da lei prende nome e identità, nacque nel 1991 per iniziativa del Cardinale Lucas Moreira Neves e del Prof. Mauro Barsi. I fondatori non scelsero il nome di una bimba nata nel sud del mondo, ma quello di una bimba fiorentina, icona di un destino riservato a tantissimi figli di madre in ogni parte del mondo, a prescindere dal grado di “civiltà e progresso” di un’area.

Quanti piccoli abbandonati, esposti, abusati. Le parole del salmo 8 sembrano rime astratte e lontane, di fronte al dolore e all’orrore del disinteresse. Eppure, nella storia appaiono uomini che tradiscono e rivelano la realtà di Dio, assumendosi il rischio della risposta, sentendosi interpellati, personalmente, dal dolore innocente.

Uno di questi, fiorentino come Agata, e come lei prezioso figlio di uomo, è stato Carlo Casini. Fratello di tutti, padre di molti, amico delle vite dimenticate, minacciate e rifiutate.

E’ a lui che l’associazione, nel trentesimo anniversario della sua fondazione, il 31 ottobre 2021, ha dedicato il premio Agata Smeralda. A riceverlo nella Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, alla presenza del Card. Betori, sua moglie Maria. La storia di Carlo si intreccia con quella di tutte le Agate del mondo, ma anche con quella di questa piccola creatura dalla cui vita ha trovato motivazione e ispirazione un grande progetto internazionale, come è quello che l’omonima associazione porta avanti da trent’anni. “Agata Smeralda”, infatti, è un progetto che opera in nome della vita, mantenendo una presenza concreta nelle favelas brasiliane di Salvador Bahia, in mezzo ai più poveri tra i poveri: le bambine ed i bambini di strada.

Nel 1991, fu proprio Carlo Casini ad incidere in modo determinante nel rapporto tra Firenze e Salvador Bahia, accompagnando le due città nell’attuazione del gemellaggio siglato a Palazzo Vecchio in quello stesso anno, e proprio “In nome dei bambini”. Nel ’91, dopo aver già visitato la realtà di Salvador Bahia insieme a sua moglie, e sua più grande alleata, Maria, Carlo vede concretizzarsi l’idea del gemellaggio lanciata già l’anno prima.

In un articolo del ’92, pubblicato su “La Speranza”, scrive così: Ci siamo resi conto che in Brasile la difesa del diritto alla vita non implica soltanto la lotta contro l’aborto. Le allucinanti ricorrenti uccisioni di ‘meninos’ e ‘meninas de rua’, i bambini di strada scomodi e privi di qualsiasi potere, mostrano fino a che punto può spingersi la logica che nega significato alla vita altrui. Il gemellaggio promosso dal Movimento per la vita in nome dei bambini dimostra la validità della tesi principale per cui il Movimento esiste: il bambino è sempre lo stesso, sia prima che dopo la nascita.”

L’incontro con la realtà di Salvador Bahia lo commuove nel profondo, e come sempre lo muove ad agire con azioni concrete e lungimiranti, che assumevano il dramma in tutta la sua complessità e tentavano di risolverlo introducendo strategie trasversali, oltre ogni ostacolo o impedimento ideologico che si frapponeva tra il desiderio di compiere la cosa giusta e la possibilità di realizzarla:

 “Ci furono iniziali resistenze. Come al solito faceva difficoltà accettare il Movimento per la vita come interlocutore ufficiale. Ma non ci arrendemmo…Mettemmo a punto l’idea delle adozioni a distanza, e il Movimento fiorentino ha già iniziato l’esperienza di un’adozione a distanza di tre fratellini di Salvador affetti da distrofia muscolare.”

Carlo Casini è stato sempre un vulcano incontenibile. Pieno di zelo, infiammato da un amore oltre ogni ragionevole limite imposto da una prudenza che troppo spesso è puro calcolo, e interesse. Carlo, di fronte a quell’uomo che incontrava, al bambino che si sentiva chiamato a proteggere, a custodire e far cresce, non conosceva limiti o titubanze. Ma la sua storia è un intreccio di storie. Nel volto appassionato di Carlo Casini si rintracciano tutti i volti che incrocia. 

Sempre della sua visita a Salvador Bahia, ci lascia due ricordi che vale ancora la pena citare: Sono stato in ospedali e orfanotrofi, – scrive nel ’91 per Toscana Oggi- ma due incontri mi sono rimasti impressi particolarmente nella memoria. Il primo riguarda Maddalena, una donna negra magrissima e piccola, di età indefinibile: sembra uscita da un libro sulla schiavitù. Certamente è discendente di schiavi e anche attualmente la sua vita non è molto diversa da quella dei suoi antenati: abita nel cuore di una favela e la sua «casa» senza pavimento e con tetto di lamiera non ha una superficie superiore a 12 metri quadrati. Maddalena fa la lavandaia per i «signori» e ogni giorno fa chilometri a piedi per prendere la biancheria da lavare e per riportarla ai committenti in enormi catini di alluminio che si carica sulla testa. Il guadagno è misero…vive con un uomo che sta via tutta la settimana, torna a casa il sabato, si ubriaca e la picchia.”

In questo quadro desolante scorge però la presenza di “Colui che cura”, ed è proprio nella maternità dolorosa di questa donna che si ribalta la trama della sopraffazione, manifestando l’insopprimibile forza della vita: “Nella casupola c’erano tre bambini- racconta Carlo- “: ‘Sono suoi figli anche questi?’ – domandai – ‘no -rispose -hanno perso i genitori e io li tengo con me’. ‘Ma come farà per mantenerli?’ – replicai – ‘Lavorerò di più – fu la risposta – e poi Dio mi aiuterà’”.

Il secondo incontro è quello con Padre Giorgio Vaccari, un missionario milanese “con il cappello da cow-boy” che gli mostra il centro di accoglienza di Paribe. “Ho visitato minutamente gli ambienti e parlato con molti ragazzi– scrive ancora su Toscana Oggi- singolare in due o tre casette la presenza di ragazze madri con i loro piccolissimi bambini, in due casi anche con il pancione della nuova gravidanza. Sono le «mamme», riconosciute come tali, non solo dai loro figli, ma anche da tutta la comunità familiare di cui sono la guida… La loro gravidanza aveva creato problemi che sembravano insolubili. Hanno chiesto aiuto e si sono trovate a dare aiuto e a ricevere un’accoglienza che le rende ancora più largamente madri.”

Carlo annota, registra tutto, poi trae sempre conclusioni che ci destabilizzano, che ci mostrano l’anima profonda di un uomo che non ragionava mai ideologicamente, ma spinto, piuttosto, da una forza contemplativa. Esattamente come i suoi grandi amici Giovanni Paolo II (che nel ’91 aveva visitato proprio Salvador Bahia), Jerome Lejeune, Madre Teresa.

Il ricordo del centro di Paribe è legato principalmente alla minuscola cappella. – conclude il suo articolo del ’91– Lì dentro ci si rigira appena, è una specie di sgabuzzino, ma c’è una splendida vista sul mare lontano e c’è il tabernacolo. Da un lato di questo tante fotografie di ragazzi passati fugacemente dal centro. Se ne sono tornati sulla strada. «Questa fa la prostituta, questo è morto, questo è in carcere». Padre Giorgio li conosce tutti, ma non può più fare nulla e li ha affidati all’Onnipotente nascosto dentro quel tabernacolo. Sull’altro lato, in forma di croce, 64 nomi. «Chi sono?» domando. «Bambini di strada ammazzati a Salvador nel 1989. Non sono tutti, ma solo quelli registrati all’istituto di medicina legale. È un fenomeno diffuso in tutto il Brasile questo dei bambini uccisi. Quest’anno nella sola Salvador già se ne contano 48». «Uccisi? Da chi? E perché?» insisto. E qui viene la storia che ha dell’incredibile. lo almeno, allora, ritenni di prenderla con cautela, quasi una esagerazione. «Uccisi da apposite squadre prezzolate dai proprietari dei grandi alberghi e dei grandi magazzini. Questi bambini sono scomodi. Danno un’immagine negativa della città. Allontanano i clienti. Mettono in difficoltà turismo e affari. E poi sono delinquenti sul serio. A dodici anni hanno già fatto tutte le esperienze, sono violenti, intrattabili, rubano, spacciano droga, qualche volta essi stessi uccidono. Meglio ripulire i e quartieri una volta per tutte. Le occasioni non mancano. Ecco il perché dei bambini ammazzati». Sarà vero? Sono tornato in Italia con la voglia di conoscere meglio le cose. Il gemellaggio Firenze-Salvador Bahia ha molti aspetti, ma fondamentalmente è stato siglato in nome dei bambini. Quante cose da fare! Approfondire ii terna dell’adozione internazionale; aiutare Salvador nel compito dell’educazione, studiare nuovi mezzi di «adozione a distanza». Ma la mia riflessione parte da quell’elenco di 64 bambini i cui nomi sono scritti nella cappellina del Centro di Solidarietà di Paribe. Sarà poi vero? Qual è la condizione reale dei «bambini di strada»? Che possiamo fare? L’adozione a distanza è un primo passo che può anche impedire al gemellaggio Firenze-Salvador di essere un evento soltanto celebrativo e formale.”

Carlo Casini, certamente, non avrebbe vissuto questo premio conferitogli a distanza di trent’anni come un evento soltanto celebrativo e formale. Avrebbe invece proposto ancora soluzioni, progetti, idee rivoluzionarie. Perché nel cuore di Carlo, che resta vivo in quel tabernacolo in cui era capace di ricentrarsi ogni giorno, ardeva il fuoco rivoluzionario della Carità. La Carità che si ri-corda (riporta al cuore) di ogni uomo, e se ne prende cura. Perché in ogni uomo riconosce una pietra preziosa, perché in ogni figlio di uomo sa incontrare una piccola, ed eterna, Agata Smeralda.