Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» «Quamdĭu fecistis uni de his fratrĭbus meis minĭmis, mihi fecistis»

Domenica 22 novembre – XXXIV settimana del tempo ordinario – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il commento di Massimiliano Zupi

Questa scena, posta immediatamente prima dell’inizio del racconto della Passione, è come un grande fuoco, lo stesso con il quale si purificava l’oro: brucia tutto ciò che è impuro, così che resti solo ciò che vale. Ogni volta, a confrontarsi con questo brano non si può che rimanere sorpresi: quel che resta alla fine è soltanto l’amore; tutto il resto è vanità! San Paolo, nell’inno alla carità, ripete la stessa cosa, sebbene con un linguaggio iperbolico: parlare tutte le lingue degli uomini, finanche quelle degli angeli, non conta nulla; avere il dono della profezia, conoscere tutti i misteri e la scienza, non vale nulla; avere tanta fede da trasportare le montagne, dare in elemosina tutti i propri beni o addirittura il proprio corpo, non serve a nulla: solo l’amore non avrà mai fine (1 Cor 13,1-3.8).

L’amore di cui parla il Vangelo di oggi, poi, non è un vago sentimento: è la concretezza del dare da bere e da mangiare, l’azione del vestire e dell’accogliere, il tempo dell’andare a visitare. L’amore non è una questione di cuore, ma di mani e di piedi, di ginocchia e di spalle. Ebbene, come spendiamo le nostre energie e la nostra vita? Quanto tempo dedichiamo a questo amore, che è servizio (Gv 13,4-5)? A prenderci cura della sete, della nudità, delle malattie e delle prigionie di chi ci sta accanto? Sicuramente, sempre troppo poco, perché intenti alle nostre cose, al nostro lavoro (Lc 14,18-20): a ciò che, come spiega san Paolo sempre nell’inno alla carità, ci gonfia di orgoglio, persegue i nostri interessi (vv.4-5). Eppure tutto ciò non vale nulla: è davvero come cembalo che tintinna! L’amore di chi si fa servo, invece, così umile, nascosto, piccolo e silenzioso, è il seme dal quale germoglia e cresce l’albero di tutti più grande e sul quale tutti desiderano dimorare (Mt 13,32): l’albero della vita eterna (Gn 2,9).