“Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”

«Vi libereremo da ogni preoccupazione»
«Secūros vos faciēmus»

13 aprile 2020 – Lunedì fra l’Ottava di Pasqua – Mt 28,8-15

In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.

Il commento di Massimiliano Zupi

Il dittico che oggi il Vangelo ci presenta è bellissimo. Da una parte, le donne: accorse al sepolcro spinte dall’amore per il loro Signore, ancora più in fretta corrono indietro per annunciare ai fratelli una gioia grande. L’espressione, «gioia grande» (v.8), è la stessa pronunciata dagli angeli nella notte di Natale (Lc 2,10): in entrambi i casi, infatti, si tratta della nascita di una nuova vita. Lì la nascita di un bambino: gioia che ogni giorno in ogni punto del globo, grazie a Dio, continua a diffondere una luce e un calore di cui abbiamo bisogno non meno che della luce e del calore del sole; se nuovi bambini non venissero continuamente al mondo, la vita umana si estinguerebbe prestissimo su questo pianeta, per tristezza ben prima che per estinzione! Qui invece la nascita di una vita nuova, inaudita, che ha vinto la morte: di una vita eterna. L’acqua fuoriuscita dal fianco trafitto (Gv 19,34) è diventata sorgente zampillante: le donne sono le prime coinvolte in questo flusso, in questo fiume (Gv 7,38), le cui acque saneranno e porteranno vita ovunque giungeranno (Ez 47,8-9). Le donne provano timore: la realtà che toccano, questo Gesù che era morto ed ora vive, è molto più grande di loro. L’angelo ed il Risorto le rassicurano: possono fidarsi, questo oceano di vita non le inghiottirà; possono tuffarcisi: e scopriranno fluire in loro stesse l’acqua dello Spirito (Gv 4,14). Dall’altra parte, ci sono le guardie, i capi dei sacerdoti e gli anziani: ciò che per le donne è motivo di grande gioia, per loro è causa di turbamento ed apprensione. Vogliono arrestare quel flusso: le loro parole, consapevolmente menzognere, intendono mettere a tacere le parole che annunciano la Pasqua. La loro paura, in fondo, è la stessa che prende anche le donne: la paura di fronte a ciò che ci sopravanza e che non possiamo controllare. Come l’angelo ed il Risorto, anche i capi dicono alle guardie di non preoccuparsi. È il medesimo imperativo che Gesù aveva rivolto ai suoi (Mt 6,25.31.34): non preoccupatevi della vostra vita, di ciò che berrete o mangerete o vestirete; non preoccupatevi, ma fidatevi del Padre: sprecate la vostra vita per amore e la riceverete in abbondanza (Mc 10,30; Lc 6,38). Ora, però, la sicurezza dei capi è di tutt’altro genere: non si fonda sul Padre che è nei cieli, ma sui soldi con i quali corrompono le guardie. In effetti, i soldi sono ciò che ci permette di non preoccuparci del cibo e dei vestiti: ci garantiscono il benessere, sono la nostra assicurazione sulla vita. Ma la vita passa: e chi ha il potere di aggiungervi un’ora sola (Mt 6,27)? I soldi sono soggetti a scassinatori e ruggine (Mt 6,19-20): il tempo e la morte sono il ladro che rivela l’inganno di mammona. Per questo le guardie non possono portare con sé la gioia grande: il riso della Pasqua, la festa della vita.