Padre Damiano di Molokai, il santo che serviva il Signore attraverso “i suoi figli poveri malati”

“Il mondo della politica e della stampa possono offrire pochi eroi come Padre Damiano di Molokai. Varrebbe la pena di cercare la fonte d’ispirazione di tanto eroismo!”. Sono le parole del Mahatma Gandhi che ricorda l’esempio di un sacerdote salito all’onore degli altari nel 2009 per aver speso la sua vita a favore dei malati di lebbra. Modello di carità riconosciuto da milioni di credenti e non-credenti è una testimonianza di alto valore anche per chi oggi è costretto ad affrontare l’emergenza Covid-19.

Giuseppe de Veuster, noto come Padre Damiano, nasce nel 1840 in Belgio da una famiglia molto religiosa e numerosa. Penultimo di 8 fratelli, rifiuta di seguire le orme del padre che vorrebbe affidargli l’impresa di cui è proprietario nel settore agricolo. Preferisce prendere esempio dal fratello maggiore, Pamphile, entrato nella Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Inizia il noviziato nello stesso convento di Pamphile assumendo il nome di Damiano. Ottiene il permesso di partire al posto del fratello ammalatosi poco prima di andare in missione alle isole Sandwich (quelle che in seguito si chiameranno Hawaii). Dopo 138 giorni di navigazione sbarca a Honolulu e due mesi dopo è ordinato sacerdote. Il vescovo del luogo descrive ai presbiteri e alla comunità cattolica la situazione disperata dei lebbrosi di Molokai, la vicina isola dove, per disposizione del Re Kamehameha IV, vengono deportati quanti sono affetti da quella malattia, al tempo ancora incurabile. Padre Damiano sente di doversi offrire volontario per servirli concependo la sua presenza tra i lebbrosi come quella di un padre tra i suoi figli, pur sapendo cosa avrebbe significato la frequentazione quotidiana dei malati. Prendendo tutte le precauzioni ragionevoli, riuscirà a evitare il contagio per oltre dieci anni prima che la malattia di Hansen lo colpisca portandolo alla morte all’età di soli 49 anni.

La vita di San Damiano è caratterizzata da una generosità senza limiti, il forte desiderio di compiere la volontà del Signore e un costante affidamento alla Provvidenza. “Persuaso che il buon Dio non mi domanda l’impossibile – scrive in una lettera al Padre generale – affronto ogni cosa in maniera risoluta, senza sconvolgermi”. Il sacerdote, però, non si limita alle sue attività canoniche o a “salvare il salvabile”. È un vulcano di iniziative per allievare la sofferenza dei lebbrosi, si interessa ai progressi della scienza sperimentando su di sé nuovi trattamenti che condivide anche con i malati, oltre a curare gli infermi, fasciare le loro orribili piaghe e confortare i moribondi. Si adopera materialmente anche per seppellire i morti nel cimitero, da lui chiamato “il giardino dei morti”. Attinge forza da Gesù Eucaristia come da lui stesso espresso: “Senza la presenza costante del nostro Divino Maestro nella mia povera cappella, io non avrei mai potuto perseverare, condividendo la mia sorte con quella dei lebbrosi di Molokai”.

E così, grazie all’apporto di San Damiano, “l’inferno di Molokai” si trasforma in una comunità che sorprende lo stesso governo. Quelli che sono in grado di lavorare realizzano numerose opere per la collettività come un orfanotrofio, una chiesa, oltre a edifici pubblici e case. Viene ampliato l’ospedale, sistemato il porto e le vie di accesso, si costruisce una condotta d’acqua. Il santo, inoltre, apre un magazzino a cui si può accedere gratuitamente e si prodiga per la coltivazione della terra e dei fiori; organizza perfino una banda musicale per allietare il tempo libero dei malati. Crea un “circolo virtuoso”, attraverso i mezzi di informazione, capace di generare un movimento di solidarietà nell’opinione pubblica per il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti dell’isola. “La mia più grande gioia – dice – è di servire il Signore attraverso i suoi poveri figli malati, respinti dagli altri uomini”.

Con i sentimenti di pace, armonia, fede e ottimismo che caratterizzavano la sua giornata riesce a contagiare tutti. “Faccio l’impossibile – affermava – per mostrarmi sempre gaio, per rincuorare i malati”. In tal modo mostra a quelle persone, apparentemente senza speranza, che agli occhi di Dio-Padre ogni essere umano è infinitamente prezioso. San Damiano si identifica talmente coi malati che aiuta al punto di dire “noi lebbrosi”. La sua testimonianza è un invito alla speranza e al contempo un richiamo forte affinché venga riconosciuta dignità a tutte le persone, anche a coloro che rischiano di essere quasi dimenticati perché malati, disabili o emarginati. Il santo belga non smette mai di affermare la sua fiducia in Dio e riconferma sempre la volontà di proseguire nel cammino da Lui indicato. “Sono felice e contento – racconta –. E, se mi dessero l’opportunità di guarire andandomene da qui, risponderei senza esitazione: ‘Resto con i miei lebbrosi tutta la mia vita’”.