Perché la dislessia è una responsabilità delle scuole

Per anni nell'immaginario comune è stata definita erroneamente una disabilità. C'è addirittura chi la considerava una “moda” o chi la imputava a problematiche nel contesto familiare. Ma la dislessia, dopo il riconoscimento internazionale, oggi trova un'altra percezione nella nostra società. In occasione della Settimana Nazionale della Dislessia, in previsione dal 7 al 13 ottobre 2019, l'Associazione Italiana Dislessia promuove la campagna Diversi e uguali: promuoviamo l'equità, affinché i disturbi dell'apprendimento (in cui sono incluse la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia) siano sempre più oggetto di un lavoro culturale. “In termini di legge in Italia siamo messi benissimo” dichiara a In Terris Sergio Messina, Presidente dell'Associazione Italiana Dislessia e neuropsichiatra infantile a Caltagirone: “Dal 2010, cioè da quando i disturbi specifici dell'apprendimento sono stati riconosciuti a livello nazionale, è migliorato anche il coordinamento fra i genitori e le aziende sanitarie”.

I numeri dei DSA in Italia

Secondo i dati stilati dal Miur, negli ultimi quattro anni le certificazioni per dislessia sono aumentate del +88,7%, quelle relative alla disgrafia del +163,4%, quelle per disortografia del  +149,3% e quelle per discalculia del +160,5%. Numeri che appaiono eloquenti, ma che spiegano come l'aumento di casi di DSA, piuttosto che essere sintomo di un'”epidemia”, è correlato all'aumento delle certificazioni, che variano da regione a regione. “Se si guarda ai dati, emerge una presenza alta di percentuali in talune regioni, come l'Emilia-Romagna e la Lombardia, mentre al sud la soglia resta bassa” sottolinea Messina. Le certificazioni, infatti, si concentrano maggiormente nel Nord-Ovest del Paese – in testa Piemonte e Lombardia, che sfiorano rispettivamente il 4,8% e il 4,7%-, invece appaiono più basse in Calabria (0,4%) o Campania (1%). Le ragioni alla base di questa disomogeneità dei DSA riguarda, come sottolinea Messina, “la mancanza di organizzazioni di rete”. In sostanza, la legge 170 del 2010 prevede, secondo l'accordo Stato-Regione, che le singole regioni varino una legge ad hoc nel loro territorio: “Spesso, però, mancano i decreti attuativi e, con essi, lo spazio di quelle che sono le organizzazioni territoriali”. 

Realtà e preconcetti

In Italia, le discrepanze non riguardano solo un gap geografico: “C'è un problema legato agli istituti scolastici – sottolinea Messina – e così ci troviamo con un'alta percentuale di casi di DSA negli istituti tecnici rispetto a quelli classici“. Secondo il presidente di AID, la valutazione è, in tal caso, rigida: “Si pensa che negli istituti tecnici sacrifichino l'impegno alla lettura per le loro attività pratiche, eppure non è così. Tuttavia, negli istituti tecnici arriviamo a registrare picchi che rasentano il 6-7%”. Anche dove i DSA sono riconosciuti, dunque, è necessario far fronte a pregiudizi che spesso sono difficili da sradicare. “Per quanto riguarda la formazione, per esempio, c'è un interesse diffuso in tutto il Paese” specifica Messina. “Un esempio su tutti: abbiamo stilato un questionario recentemente e le risposte degli insegnati del Mezzogiorno sono state abbastanza numerose”. 

La normativa

Nel 2010 è stata varata la legge 170, che rappresenta una tappa importante, perché prima di quella data l'identificazione dei cosiddetti DSA era molto limitata. Da allora, è stata una svolta nel riconoscimento del disturbo, non solo per quanto riguarda le procedure di identificazione del disturbo, ma anche per la formazione dei docenti: “Il Miur in questi anni ha investito tanto sulla formazione – specifica Messina -. Come AID, da cinque anni abbiamo attivato un corso di formazione gratuita in due tipologie intitolate “Dislessia amica”: un corso base e un altro, che ha interessato più di 6000 istituti scolastici (su 8000 in Italia)”. L'Associazione sottolinea, inoltre, come da un punto di vista normativo l'Italia non abbia nulla da invidiare ad altri Paesi: “L'Associazione Europea Dislessia guarda all'Italia come a un modello virtuoso. Sta ora a noi su come utilizzare questa legge”. 

Programmi personalizzati

In altre parole, se in Italia il contesto normativo favorisce la tutela dei ragazzi affetti da DSA, è ora necessario cedere il passo all'applicazione concreta di tale norma. “Quello che chiediamo – dichiara Messina – è puntare a una didattica inclusiva, cioè buona per tutti, anche per i normo-lettori”. La richiesta di una strategia di apprendimento equa coinvolge, secondo l'AID, tutti gli studenti, “perché per mezzo di essa si favoriscono tutti e chi è affetto da DSA non si sente emarginato”. Oggi come si sposa quest'approccio con le disposizioni normative? La riforma Moratti del 2003, che di fatto ha imposto alle scuole di redigere programmi personalizzati per ogni studente, non rischia di aumentare sugli studenti affetti da DSA uno stigma invalidante? “Assolutamente no – risponde Messina -, anzi la riforma pone l'accento proprio su questo punto: il portfolio delle competenze individuali ricorda che ognuno ha diverse modalità di apprendimento“. Per di più, specifica: “Le strategie di apprendimento per gli affetti da DSA possono giovare a tutta la classe, com'è stato ampiamente dimostrato”. Rimane, tuttavia, da sciogliere il nodo dell'inclusione sociale, soprattutto nella scuole: “Il ragazzo dislessico – avverte Messina – ha piena consapevolezza delle proprie difficoltà e, se non è supportato, si sente anomalo. Questo crea un circolo vizioso in cui si può essere vittime di bullismo e, al disturbo certificato, può associarsi un disagio psicologico“. La soluzione è, secondo Messina, la diagnosi precoce: “Un'adeguata procedura di screening di identificazione precoce, insieme a testi specialistici, possono permettere di lavorare sull'autostima” sottolinea Messina. 

Sviluppare il potenziale

Una piena consapevolezza della portata culturale del problema è utile anche alla costruzione di una visione sociale più veritiera. Negli Stati Uniti, dove le certificazioni di DSA raggiungono il 5-15%, alcune aziende private – come la società d'informata IBM – stanno puntando a valorizzare gli affetti da DSA, poiché in possesso del cosiddetto pensiero divergente, una skill utilissima nell'industria informatica. E in Italia? “Il cammino è lungo – dichiara Messina – ma stiamo lavorando per una sinergia con le aziende. Alcune, anche importanti, hanno risposto in maniera positiva. Tutto questo serve a ribadire un messaggio di fondo: i ragazzi affetti da DSA non sono anormali. Se noi, sin dalla loro infanzia, li aiutiamo a gestire quelle che sono le loro potenzialità, garantiamo un futuro migliore. A loro e a noi stessi”.