Il vaccino italiano completa la fase 1: immunità al 90%, ma non ci sono i fondi

Si è conclusa in modo positivo la sperimentazione di fase 1 del vaccino italiano anti Covid-19 di Takis e Rottapharm Biotech, ma non ci sono fondi per proseguire con le altre due fasi dello studio

Si è conclusa in modo positivo la sperimentazione di fase 1 del vaccino italiano anti Covid-19 di Takis e Rottapharm Biotech, tanto che la risposta immune contro il virus SARS-CoV-2 è presente nel 90% dei vaccinati, ma non ci sono fondi per proseguire con le altre due fasi dello studio.

Il vaccino, il primo a Dna a raggiungere la fase di sviluppo clinico in Europa, è così costretto a uno stop. Lo rendono noto le stesse aziende biotech. A questa difficoltà si aggiunge quella dei tempi molto lunghi per assegnare il Green pass ai volontari arruolati nello studio.

Finanziamenti fantasma per il vaccino italiano

“Per la prosecuzione dello sviluppo sarebbero necessari i finanziamenti che finora non siamo riusciti a ottenere”, rileva Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico di Takis.

“Anche i vaccini esistenti, nonostante siano stati sviluppati da grandi aziende, hanno necessitato di interventi importanti da parte dei propri Paesi, come è logico per i vaccini contro una pandemia”, aggiunge.

I risultati dei test

I risultati dei test di fase 1 indicano che il vaccino Covid-eVax è risultato “ben tollerato” e che “ha indotto una risposta immunitaria (anticorpale e/o cellulare) a tutte le dosi testate (0.5, 1 e 2 milligrammi, somministrate in doppia dose)”. La migliore risposta, proseguono le aziende, “è stata osservata nel gruppo trattato al dosaggio più alto, con l’induzione di una risposta immunitaria fino al 90% dei volontari”.

Particolarmente rilevante, aggiungono, è stata la risposta di tipo cellulare. “I risultati preliminari sono favorevoli“, ha detto Lucio Rovati, presidente e direttore scientifico di Rottapharm Biotech. “Riteniamo che i dati generati in questo studio siano una validazione dell’efficacia della nuova piattaforma tecnologica dei vaccini a DNA, diversa rispetto a quelle già disponibili a RNA messaggero o a vettore virale, e potenzialmente utile anche in campi diversi, come ad esempio per il trattamento di alcune patologie oncologiche”. Al problema dei finanziamenti si aggiungono le difficoltà nel condurre in Italia la seconda parte dello studio a causa dell’alto numero di vaccinati.

“Peraltro il profilo della reazione immunologica, con una forte risposta di tipo cellulare, è tale che – osserva Rovati – Covid-eVax dovrebbe essere testato come terza dose quando la risposta anticorpale da parte dei vaccini già disponibili andrà a diminuire e al fine di fornire un forte impulso alla memoria immunitaria”.