Il covid cambia fino a 100 volte meno dell’Hiv, vaccino più facile

Capobianchi: "Il covid non è così sfuggente da eludere facilmente la risposta immunitaria protettiva come avviene per l'Hiv"

A destra, Maria Rosaria Capobianchi

“Il virus Sars-CoV2 cambia fino a 100 volte meno dell’Hiv. Questo aumenta la speranza di sviluppare vaccini efficaci”. Lo ha detto Maria Rosaria Capobianchi, docente di Biologia Molecolare e alla guida del Laboratorio di Virologia dell’Istituto Spallanzani, che per primo ha isolato in Italia il Sars-CoV2 in occasione dell’inaugurazione virtuale dell’anno accademico dell’Università UniCamillus.

Emerge da un’analisi condotta successivamente alla recente pubblicazione di Microrganism che aveva evidenziato un cambiamento del virus tra le alte e le basse vie respiratorie. “La buona notizia è che ha un genoma più stabile” e meno sfuggente, ed “è più facile sviluppare vaccini che funzionano”.

Le “quasi-specie”

“Sars-Cov-2, come tutti i virus a RNA, ha un enzima di replicazione fallace e non preciso – ha spiegato Capobianchi – Il virus quindi ha una variabilità che nell’organismo genera una ‘quasi-specie‘, uno sciame di virus quasi uguali ma che presentano piccole variazioni fra loro. Potrebbe essere un meccanismo di evoluzione e di adattamento alle diverse sedi anatomiche dove il virus si replica. Lo abbiamo visto sia nel polmone sia nelle prime vie aeree respiratorie”.

Proprio il laboratorio dello Spallanzani è stato tra i primi al mondo a seguire questo approccio di ricerca, dimostrando le ‘quasi-specie’ anche nei virus HIV, dell’epatite e dell’influenza.

Hiv

Capobianchi ha poi sottolineato: “Su circa 10 pazienti Covid-19 abbiamo evidenziato la presenza di quasi-specie virale. In qualche caso la quasi-specie è più variabile e in altri meno, ma la variabilità genetica del SARS-CoV-2 è da 10 a 100 volte inferiore a quella riscontrata nel virus Hiv e non avrà risvolti di rilievo sullo sviluppo di vaccini efficaci, perché il virus non è così sfuggente da eludere facilmente la risposta immunitaria protettiva come avviene per l’Hiv”.

E ha chiarito: “Ad oggi, inoltre non ci sono evidenze che questa variabilità all’interno di un singolo paziente sia legata a una situazione di maggiore gravità. Gli studi futuri potranno sicuramente aiutare a far chiarezza su questo aspetto”.