Sepùlveda: un destino beffardo per un uomo indimenticabile

Il ricordo di un'insegnante che gli dedica una lettera

Sembra, delle volte, che il destino giochi tiri beffardi e si diverta a creare tristi coincidenze. Così accade che a fine febbraio si diffonda la notizia che uno scrittore importante, a cui sei particolarmente legata, è stato ricoverato per problemi di salute causati dal Covid-19. Accade poi che una sera, quasi per caso, dopo più di un mese, tu ti chieda come stia, quello scrittore, visto che non se ne sa più nulla da troppi giorni. E infine accade che, proprio la mattina successiva, tu legga un titolo che non avresti mai voluto vedere: Luis Sepúlveda è morto.

Vado alla mia libreria e lo sguardo scivola in quell’angolo dove sono disposti i suoi libri. Scorro i titoli. Li ho quasi tutti, i lavori di Luis. Mi ci sono imbattuta a poco più di vent’anni nella sua scrittura. “La frontiera scomparsa”, il primo che ho letto, fu un pugno allo stomaco. Il racconto della prigionia, delle torture subite, della cella dove per sette mesi non poté stendersi né stare in piedi, l’addio al padre e al suo paese, il Cile, per il quale avrebbe sacrificato la vita. Rimasi sconvolta dall’orrore e dalla sua forza interiore, che gli permisero di continuare a vivere.

Non doveva essere un tipo facile, Luis. Uno che ha nonno e padre anarchici e perseguitati politici, che fin da quindicenne si butta a capofitto nell’impegno politico, che nemmeno ventenne riesce a farsi espellere dalla Gioventù comunista per le sue posizioni fin troppo intransigenti, che entra a far parte della guardia personale di Salvador Allende e sopporta torture e prigionia pur di non tradire i suoi ideali… di carattere e personalità ne aveva da vendere.
Forse proprio il dolore, le privazioni, i lutti e i distacchi contrapposti alla passione politica profonda e incrollabile hanno reso Sepúlveda lo scrittore che conosciamo. Quello che narra storie di uomini improbabili ai limiti del fantastico; che con un linguaggio grezzo eppure poetico sa far ridere e divertire; che emoziona quando descrive i paesaggi della sua adorata Patagonia; che commuove con i racconti delle vicende di vita vere di chi abita i confini del mondo; che infervora l’animo quando parla della sua visione del futuro e dei suoi ideali di società.

Sepúlveda è lo scrittore che ha saputo raccontare favole, facendo piangere noi adulti mentre leggiamo ai bambini di una gabbianella che impara a volare con l’aiuto di un gatto.
Sepúlveda è l’uomo che con l’esempio concreto ha dimostrato che si può lottare fino allo stremo per ciò in cui si crede, restando in prima linea, combattendo, resistendo e risorgendo, e della sua esperienza ha fatto dono a chiunque volesse ascoltarlo.
A lui, come lettrice, devo alcune delle emozioni più forti e indelebili nell’animo. Come donna, mi ha insegnato cosa siano davvero resistenza, resilienza, coerenza. E non gli sarò mai grata abbastanza per aver contribuito a formare e risvegliare la mia coscienza civile e politica.

Grazie, Luis.

Letizia Rossi
Insegnante