Umiltà, una virtù dimenticata

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Tutti i giorni usiamo parole, per parlare naturalmente, per relazionarci con gli altri, e tra tante parole che sentiamo, sembra ultimamente sparita dai radar della comunicazione e del vivere quotidiano la parola umiltà.

Certo, si potrebbe affermare che i tempi cambiano, che le mode e gli influencer e l’intelligenza artificiale la facciano da padroni, certo è che nel vocabolario dell’essere umano, che vuole essere protagonista e lottare per il primo posto in ogni settore della vita, la virtù dell’umiltà è qualcosa di vecchio, di superato e da non prendere nemmeno in considerazione.

Siamo affascinati da valori apparenti, dalle grandezze esteriori, da ciò che è sensazionale, l’uomo diventa in un certo senso il vero protagonista della storia, con la sua unicità: quanto volte abbiamo inteso frasi: “Io, sono il migliore, io sono capace di tutto…”. Spesso si confonde l’essere umili con l’essere fragili, incapaci di fare le cose e per questo si viene relegati agli ultimi posti, o addirittura messi da parte in un angolo. Ma, non è così.

Se leggiamo le pagine del Vangelo, in particolare tra le tante, tutte ricchi di insegnamenti non solo per il credente, e il cristiano in genere, i diversi episodi che vengono raccontati e che hanno come sfondo il valore, e non solo la virtù dell’umiltà. Tra i tanti ci piace ricordare quanto scritto nel Vangelo di Matteo al capitolo 8 che ricorda della guarigione da parte di Gesù del servo del centurione, che oltre a manifestare la propria fiducia verso il Signore si presenta con le parole: “…Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…”. E’ una dimostrazione di umiltà da parte di un soldato romano, che rappresentava il potere in tutto il mondo. Ma, il centurione scelse la strada migliore: quella di presentarsi davanti a Gesù con umiltà.

Il Vescovo d’Ippona Agostino (354-430) così affermava: “Se mi domandate quale sia la prima virtù di un cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi chiedete qual è la seconda vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate ancora qual è la terza, io vi risponderò ancora che è l’umiltà; e per quante volte mi farete questa domanda, io vi darò la stessa risposta”.

Lo stesso Gesù, ci insegna a mostrare la nostra umiltà, non a parole, ma con le azioni, a stimare e a valorizzare gli altri più di noi stessi. Forse qualcuno potrebbe scandalizzarsi per un simile pensiero, infatti per molti individui stare al secondo posto equivale ad una sconfitta, ad una perdita di prestigio nella società.

Il teologo e filosofo Tommaso d’Aquino (1225-1274) ci incoraggia con queste parole: “…l’umiltà non è la prima virtù per eccellenza, perché sono più eccellenti le virtù teologali che hanno per oggetto immediato Dio; e vengono anche prima le virtù intellettuali e la giustizia legale, tuttavia l’umiltà tiene il primo posto nel cuore delle virtù in ragione di fondamento allo stesso modo che in un edificio materiale, precede la base…”.

L’umiltà esteriore dovrebbe consistere nel non compiacerci con noi stessi, per aver avuto successo nel campo lavorativo e in altri campi che appartengono al nostro vivere, come nel raccontare i nostri viaggi, o la nostra abilità in ogni cosa che si faccia e soprattutto nel raccontare fatti che vanno a nostro vantaggio.

Il Dottore della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo (344-407) così ci avverte: “qualunque cosa di buono facciamo, sia preghiera, sia digiuno, sia limosina, sia continenza, tosto se ne va in fumo, sparisce se la facciamo senza umiltà…”.

Il beato Giovanni Paolo I (1912-1978) il papa dei trentatré giorni rimanendo fedele al suo motto episcopale “Humilitas” ci ricorda che l’essenza del cristianesimo è l’umiltà, virtù portata nel mondo da Cristo ed è l’unica che porta direttamente al Cristo stesso. Per servire davvero, bisogna essere umili, e che la virtù dell’umiltà si manifesta nella carità.