I tre punti da cui ripartire per un welfare innovativo

“I sistemi di welfare sono composti da programmi pubblici attraverso i quali lo Stato persegue l’obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini, e in particolare di fornire protezione sociale ad alcune categorie di cittadini a rischio, quali i meno abbienti, gli infermi, i disabili, i disoccupati, gli anziani”. Il Welfare State, così come è definito, nasce in risposta ad una società basata sull’istituzione familiare. Tuttavia, oggi la donna normalmente lavora e la famiglia non riesce più a garantire la sua funzione di ammortizzatore sociale e dunque vi è la necessità di pensare ad un welfare capace di interpretare nuove esigenze e nuovi diritti. La “pietas” che caratterizza ancora il sistema di cura delle persone con disabilità (le istituzioni totali, RSA e RSD) ostacola la visione moderna dell’assistenza indiretta capace di formare consapevolezza e autonomia nel gestire pratiche di vita quotidiana. È necessario costruire una città che sia inclusiva e pienamente accessibile a tutti i cittadini.

Un modello innovativo di welfare è rappresentato dal progetto individuale di vita: uno strumento di inclusione sociale e lavorativa di persone con disabilità. La transizione dall’infanzia all’età adulta pone importanti problematiche legate ai temi del lavoro, della vita indipendente e della realizzazione personale. Nel caso di ragazzi con disturbi dello spettro autistico (ASD) questa fase di passaggio è particolarmente critica e richiede sostegni e strategie in grado di promuovere l’autonomia e migliorare la qualità di vita della persona. Esistono modelli di microimprese, nate per volontà solitamente di genitori di ragazzi con ASD, come un tentativo di affrontare il momento critico della transizione all’età adulta, attraverso una rete tra genitori, professionisti sanitari e sociali, microimprese private e istituti di ricerca. Lo scopo è quello di facilitare l’apprendimento di competenze finalizzate all’avviamento professionale e all’inclusione sociale di ragazzi con ASD.

Le persone con autismo e le loro famiglie reclamano il diritto di assumere un ruolo di controllo e di partecipazione nei processi di cura. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, mancano degli strumenti necessari per svolgere questa funzione. Nella realtà di tutti i giorni le famiglie devono adeguarsi all’offerta disponibile, seguendo una “modalità patchwork”, ovvero come somma di prestazioni predefinite, piuttosto che una modalità “su misura”, ovvero attraverso un processo che parta dalla valutazione individuale dei bisogni e arrivi a un programma di sostegno basato su risorse originali e presenti localmente. La Convenzione ONU dice che ogni progettazione dei sostegni dovrebbe basarsi su alcuni principi irrinunciabili, quali ad esempio: la centralità della persona, il diritto di scelta che la persona con disabilità deve esercitare su ogni proposta di servizio o progetto che la riguarda, garantendo anche alle persone con disabilità intellettiva ogni accorgimento per facilitare la condivisione delle proposte, la prospettiva inclusiva per garantire nuove opportunità di autorealizzazione, in contesti di normalità relazionale e affettiva di tempo libero, di sport, di vita sociale e per il “dopo di noi”, per poter scegliere dove, come e con chi vivere.

I principali strumenti a sostegno delle persone con disabilità, e in particolare quelle in età adulta, sono quelli delle prestazioni previste dall’assistenza sociosanitaria. Nella maggior parte dei casi le prestazioni sociosanitarie si svolgono in ambiti pubblici o convenzionati. Nell’ erogazione di queste prestazioni gli utenti incontrano vari livelli di difficoltà, quali ad esempio: l’assenza di informazioni adeguate, la mancanza di fondi da parte degli enti erogatori, che non riescono a rispondere a tutte le richieste, l’assenza di prestazioni adeguate al tipo di bisogno specifico, la rigidità nell’erogazione, piuttosto che l’esigenza progettuale centrata sulla persona, che necessiterebbe di flessibilità e versatilità e la mancanza di una normativa unitaria con una visione strategica e organica fondata sui diritti delle persone con disabilità, con un evidente rischio di spreco di risorse preziose.

Quindi, alla luce di quanto detto, occorre ripartire da alcuni punti fondamentali, che di seguito elenco:

La scuola che, negli ultimi anni, è sicuramente cresciuta in termini di normative sull’inclusione. Di strada ne è stata fatta molta dalla legge n. 170 del 2010 che da allora garantisce e tutela il diritto allo studio per tutti gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e con bisogni educativi speciali (BES), assegnando alle scuole e alle università il compito di individuare le modalità didattiche più adeguate, affinché gli studenti e le studentesse con disabilità possano raggiungere i successi formativi esattamente come i loro compagni. Tuttavia, la strada per una vera inclusione, e non una inclusione solo di facciata, è ancora lunga. È necessaria un’adeguata formazione specializzata di tutti i docenti di ogni ordine e grado, nonché di tutti coloro che, a vario titolo, interagiscono con gli alunni e gli studenti con disabilità. Inoltre, è necessario “formare” i compagni di scuola del bambino/ragazzo disabile. I compagni possono diventare delle risorse incredibili: rendendoli responsabili del loro compagno disabile, crescono in una realtà in cui le differenze sono ricchezza, e tutto ciò porta a prevenire fenomeni di bullismo, sempre presenti nelle nostre scuole.

Il lavoro inclusivo per il quale è urgente avviare politiche attive del lavoro che vadano nella direzione di una maggiore inclusione delle persone con disabilità, poiché la legislazione legata al sistema delle quote è insufficiente a garantire realmente il diritto al lavoro. Occorre insistere sulla necessità di attivare percorsi di formazione strutturati, che possano rispondere alle esigenze delle persone, oltre che delle imprese. A volte è necessario “cucire” sulla persona con disabilità, anche grave, un’attività che possa far emergere le sue capacità, anche piccole, nascoste, ma di grande valore per la persona disabile, la sua famiglia e la comunità.

Il progetto individuale di vita che deve essere redatto con una valutazione iniziale, la costruzione dell’insieme di mezzi e risorse, la collaborazione con le associazioni, il volontariato e il privato sociale, potrebbe perseguire effettivamente la riabilitazione/abilitazione della persona e il suo funzionamento psico-sociale ottimale, il contrasto e la prevenzione di quei meccanismi di cronicizzazione sanitaria, la lotta all’isolamento.