Ru486 “domestica”: la banalizzazione del dramma dell’aborto

“Le nuove linee guida, basate sull’evidenza scientifica, prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana. È un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà del nostro Paese”. Cosi il ministro della Salute Roberto Speranza in un post su Facebook riguardo alle nuove linee guida relative all’uso della pillola abortiva Ru 486. Certamente c’è di che vantarsi relativamente a queste nuove linee guida promosse dal Ministro della salute Roberto Speranza, a seguito del parere richiesto al Consiglio Superiore della Sanità (Css) relativamente alle modalità di somministrazione di tale farmaco.

“L’aborto farmacologico è sicuro, va fatto in day hospital, nelle strutture pubbliche e private convenzionate e le donne possono tornare mezz’ora dopo aver assunto il medicinale” così si legge nella relazione del Ministero della salute ; “le evidenze scientifiche sono molto chiare: il Css e le società di ginecologia e ostetricia hanno espresso parere favorevole univoco”. Ma a ben guardare relativamente all’ammissione a tale metodica abortiva domiciliare, gli esperti hanno consigliato di escludere dall’uso di tale pillola le donne molto ansiose, con una bassa soglia del dolore e che vivono in condizioni igieniche precarie.

E allora viene da chiedersi perché? La risposta è semplice e intuitiva: innanzitutto perché il dramma dell’aborto viene vissuto nascostamente, da sola; la mamma spesso viene lasciata abbandonata a vivere tra le mura domestiche questa ferita lacerante che porterà con sé per sempre e che in alcune donne può comportare sindromi ansioso-depressive di difficile risoluzione. Ancora, l’espulsione del feto in ambiente domestico non potrà assicurare il controllo del dolore in alcuni casi parossistico e che in ambiente ospedaliero certamente troverebbe soluzione, ed infine le condizioni igieniche precarie aumentano notevolmente il pericolo d’infezioni sempre possibile in tale tipo di aborto fai da te.

A convalida di tali considerazioni basta rileggere il precedente parere del Consiglio Superiore di Sanità, emesso il 18 marzo 2010 e notificato dal Ministro della Salute allo Assessorato alla Sanità, alle Federazioni nazionali dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri, dei Farmacisti ed alla Federazione nazionale del collegio delle Ostetriche, dove veniva ribadita la necessità del “regime di ricovero ordinario fino alla verifica della completa espulsione del prodotto del concepimento”.

In tale parere veniva esplicitato infatti che le maggiori complicazioni erano relative al sanguinamento con necessità di emostasi chirurgica, l’anemia con necessità di trasfusione (2:1000 casi), l’infezione (ad es. Clostridium Sordelli). Tra gli effetti collaterali oltre al sanguinamento, venivano segnalati anche vomito, nausea, crampi dolorosi addominali, aumento della temperatura, cefalea, diarrea transitoria; veniva anche ribadito il profilo di maggior sicurezza dell’IVG chirurgica rispetto all’IVG farmacologica.

Queste nuove linee guida pertanto non possono non far sorgere dubbi e creare perplessità se pensiamo che le stesse smentiscono le precedenti e che potrebbero essere a loro volta smentite in un prossimo futuro. Ciò che lascia perplessi e che certamente è frutto di verità inconfutabili, è che questo Paese attualmente non ha bisogno di avere più aborti o più candidati alla “dolce morte” quanto, al contrario, di politiche che incentivino la formazione di famiglie con mamma, papà e nuovi nati che allietino questa triste società volta solo a cercare di distruggere purtroppo il senso della vera famiglia, come prevista nella nostra costituzione anche attraverso leggi liberticide come quelle in via di discussione sulla omotransfobia.

Definire “legge di civiltà” il posticipare l’IVG dalla settima alla nona settimana o far sì che una mamma sia lasciata da sola a vivere il dramma dell’aborto tra dolori da espulsione, emorragie che in ogni caso provocano apprensione ancor più se tra le mura domestiche, oltre a severe sindromi ansioso-depressive post aborto domiciliare, costituiscono oltre che una “banalizzazione dell’aborto fai da te” anche un attentato alla vita e alla salute della donna. Queste nuove linee guida relative all’uso domiciliare della Ru486 costituiscono pertanto, a nostro parere, un passo indietro nella protezione della salute e dell’integrità fisica della donna, una banalizzazione dell’aborto ed una diminutio del dramma sempre presente in una interruzione di gravidanza.