Vi racconto la mia amicizia con Giovanni Paolo II

Conobbi monsignor Karol Wojtyla ai tempi del Concilio Vaticano II, ma solo come uno dei tanti vescovi polacchi. Poi, negli anni seguenti, lo incontrai in qualche convegno. Tutto lì. Il mio riferimento, allora, non poteva che essere il primate, cardinale Wyszynski. Nel gennaio del 1977 andai in Polonia per una inchiesta, per capire che cosa ci fosse dietro i fatti di Radom e Ursus del giugno precedente.

E fui l’unico giornalista occidentale a scoprire – per caso – che quella protesta operaia era diversa da quelle precedenti; quella volta, c’era stata la solidarietà anche degli altri gruppi sociali, intellettuali, universitari, contadini: in anticipo, una specie di Solidarnosc. Per l’occasione, parlai nei miei articoli anche della Chiesa polacca. E fu allora che Karol Wojtyla, diventato ormai arcivescovo di Cracovia e cardinale, volle incontrarmi a Roma dopo aver letto i miei articoli. Mi disse che voleva scrivere una lettera di congratulazioni al mio giornale (“Il Tempo”, di centro-destra), ma io sconsigliai, c’era il rischio che poi la cosa venisse strumentalizzata dal regime comunista in Polonia. Lui invece non mi dette retta, e, da uomo coraggioso che era, scrisse la lettera, che io, pieno di paure, decisi di non pubblicare.

In quella lettera – della quale racconto qui per la prima volta – parlava delle “contraddizioni” che si incrociavano radicalmente nel suo Paese: il marxismo al potere, da una parte, e, dall’altra, “la cristianità innestata molto profondamente nella Tradizione della Nazione”. E alla fine, ringraziandomi per i miei articoli, scriveva: “…devo confessare che quello che gli stranieri scrivono di noi è una prova di giudizio, di credibilità “ad extra” di quello che noi siamo e come ci conosciamo “a intra” da parte di noi stessi”. La lettera portava la data del 12 aprile 1977.  

L’anno dopo, diventò Papa. Non riuscii a vederlo nel viaggio in Messico, perché io restai lì per seguire la Conferenza di Puebla. Lo incontrai invece nel viaggio in Irlanda. Quella mattina aveva scritto un articolo un po’ preoccupato per le minacce a questo Papa che si era messo a viaggiare così spesso. Lui, in aereo, vedendomi e riconoscendomi, mi prese un po’ in giro per quell’articolo. Cominciò lui a intervistarmi: “Senta Svidercoschi, ma secondo lei, pensa davvero che questo Papa corra dei pericoli? Mi dica, mi dica…”. E, da lì, cominciò la nostra storia, la nostra amicizia…