Il prezzo della mancata crescita e la sfida di Draghi

La mancata crescita degli ultimi vent’anni italiani che equivale a 20 punti di PIL vuol dire oltre un milione di posti di lavoro persi, vuol dire tante persone che hanno sofferto e hanno visto diminuire  nettamente il loro benessere, compreso quello interiore.

La mancata crescita da Covid stimata in 250 miliardi di minor fatturato significa altre sofferenze per la perdita di lavoro a tempo determinato, per la riduzione del salario causa cassa integrazione. Insomma, quando si diceva che nulla sarà più come prima si è dimenticato di dire che in prima battuta sarebbe cresciuta la sofferenza per i non garantiti che sovente non hanno voce perché i grandi sindacati tutelano il lavoro a tempo indeterminato.

Ricordo sempre quanto San Giovanni Paolo II, incontrando il Premier D’Alema, a proposito della fine del comunismo si chiedeva “e ora chi difenderà i più deboli?”.

Il Governo Draghi verrà misurato soprattutto qui. 

Riuscirà, utilizzando i fondi europei, nella impresa che riuscì a De Gasperi e ai governi centristi che utilizzando al meglio i soldi del Piano Marshall portarono il nostro Paese al Boom economico quando a Torino bastava avere la lettera del Parroco per essere assunti alla Fiat o nelle aziende metalmeccaniche?

Nella bassa crescita hanno influito le mancate riforme nella burocrazia, nella giustizia civile, nel fisco e nella logistica così come hanno influito i mancati investimenti nelle infrastrutture di trasporto. Negli Piano della Logistica del 2011-2020 si dice che carenza di infrastrutture e inefficienze logistiche costano al nostro sistema economico un maggior costo di 40 miliardi l’anno.

Investimenti in infrastrutture devono privilegiare le ferrovie in particolare le reti che ci collegano al grande mercato europeo come la TAV, il Terzo Valico e il Brennero perché consentiranno di trasferire il trasporto merci e passeggeri dalla strada alla rotaia, diminuendo inquinamento. Così che lo sviluppo economico si collega alla sostenibilità ambientale e diminuisce l’impatto sul cambiamento climatico.

Qui la scelta, il Paese deve passare dalla stagione ventennale dei “No alla Tav”, dei “No a tutto” e deve puntare agli investimenti che dando una crescita sostenibile danno anche una risposta ai temi del lavoro, l’unica risposta seria ai bisogni dell’uomo e della sua famiglia. Questa è la sfida per Mario Draghi e i suoi ministri, a partire dal nuovo Ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e per le forze politiche che lo sostengono.