Ponte Morandi, il ricordo delle vittime spinga a guardare al futuro del Paese

Amministro una storica società genovese di servizi alle spedizioni internazionali, la SAIMARE Spa. E la mattina del 14 agosto di due anni fa ero in Ufficio. Verso mezzogiorno sarei dovuto ripartire per Torino e avrei dovuto obbligatoriamente passare dal ponte Morandi anche perché dovevo fare il pieno di Gasolio al Distributore della Q8 che si trova all’ingresso di Genova Ovest. Mi fermai 1 km prima avvertito da Isoradio.

Una tragedia che non posso quindi dimenticare e che è ancora nei cuori di chi lavora a Genova e nel Morandi aveva un punto di passaggio giornaliero. Quel tragico evento, oltre che ad avere origine nelle manutenzioni omesse da parte della Società Autostrade che vi era tenuta come primo obbligo del contratto, ha origine anche nella sottovalutazione generale della importanza delle Infrastrutture di trasporto nella economia moderna sempre più globale.

Le discussioni infinite a Genova attorno alla Gronda autostradale, la principale alternativa al ponte Morandi, hanno fatto perdere di vista che dagli anni 60, epoca della costruzione, il traffico era cresciuto di 300 volte e questo comportava una usura visibile a occhio nudo di gallerie, viadotti etc. La incompetenza al potere ha fatto il resto. Qualcuno nel 2012, a chi gli faceva notare i pericoli, rispondeva che il Ponte Morandi sarebbe durato altri 100 anni. La società e la economia moderna vivono di Infrastrutture, morirebbero senza infrastrutture, che sviluppano o meno la economia e incidono sulla crescita economica e occupazionale.

Il Boom economico degli anni sessanta fu figlio della costruzione delle autostrade e dei trafori autostradali alpini. La bassissima crescita, per non dire stagnazione, degli ultimi vent’anni sono figli del calo degli investimenti in infrastrutture. L’ultimo anno buono fu il 2009. Da allora è cresciuta la spesa pubblica e sono diminuiti gli investimenti pubblici. E’ come se una azienda per dieci anni non investisse in macchinari e attrezzature e spendesse tutto in spese correnti. L’Italia ha bisogno di investimenti in infrastrutture perché la sua rete è vecchia e usurata ma oggi l’Italia ha bisogno di investimenti in infrastrutture che la inseriscano nella rete dei trasporti terrestri, marittimi e aerei che la inseriscano con le sue grandi eccellenze manifatturiere dentro il Mercato globale.

Il 35% del nostro Pil deriva dalle esportazioni. Senza lo sviluppo del mercato globale il Paese sarebbe più povero e i primi a pagarne le conseguenze sarebbero gli ultimi e i giovani. A causa della bassa crescita il nostro Paese è uscito dai radar degli investitori internazionali. Per ridurre il Debito Pubblico ha bisogno di una forte crescita per i prossimi vent’anni. Nel Dopoguerra De Gasperi, con i soldi a fondo perduto del Piano Marshall e con alcune intelligenti riforme, mise in moto il Boom Economico che migliorò le condizioni sociali di tutto il Paese.

Conte e il suo governo pieno di contraddizioni, nato contro Salvini, sarà in grado di usare i soldi a fondo perduto del Recovery Fund per rilanciare la crescita della economia e del lavoro o con la logica dei Bonus poco efficienti ci lascerà in eredita un Debito Pubblico da paura e tensioni sociali enormi? Il ricordo delle 43 vittime innocenti spinga il Governo come diceva DeGasperi a guardare non alle prossime elezioni ma al futuro del Paese. Ecco perché è necessario che il programma che dovrà essere inviato in Europa dovrà essere il frutto del confronto costruttivo tra tulle le forze politiche presenti in Parlamento e tutte le forze sociali vecchie e nuova. Proprio da Genova, con la rapida costruzione del Nuovo Ponte, nato da una Idea di Renzo Piano, viene il messaggio che se si vuole si può ripartire anche in tempi brevi.