Le basiliche di Barluzzi ed il suo sogno mancato

Ricorre quest’anno il sessantesimo anniversario dalla morte di un personaggio poco conosciuto dai più, ma non ignoto a quanti hanno avuto la possibilità di fare un viaggio in Terra Santa. Si tratta di Antonio Barluzzi, architetto italiano nato e morto a Roma, che alla costruzione di alcuni dei più bei santuari nella terra dove è vissuto il Signore Gesù ha dedicato gli anni e le energie migliori della sua vita, a cavallo tra il 1919 e il 1958.

Di questo professionista, meglio definibile come artista, colpisce la particolarità delle opere: sinuose ma non strambe, spirituali ma incarnate, piene di senso del sacro ma non ieratiche. Al genio del Barluzzi dobbiamo santuari quali la Basilica della Trasfigurazione sul Monte Tabor, il poderoso lavoro della Basilica dell’Agonia al Getsemani, la luminosa Basilica delle Beatitudini, la Basilica della Visitazione ad Ain Karem, la chiesa di San Lazzaro a Betania, il Santuario del Gloria in Excelsis presso il campo dei pastori e il Santuario del Dominus Flevit assieme a molti altri lavori, effettuati su commissione della Custodia di Terra Santa (oltre ad altre opere per committenti civili).

Di tutte queste meraviglie e dell’amore e originalità con cui sono state pensate e costruite, si può leggere nel libro dell’architetto Giovanna Franco Repellini “Antonio Barluzzi Architetto in Terra Santa” (ed. Terra Santa, Milano 2013). In questo testo viene abilmente ricostruita la vicenda prima di tutto umana e poi professionale del grande artista, che vide il suo lavoro di costruttore di santuari come una vera e propria missione. L’Autrice, infatti, con un paziente lavoro sui carteggi del Barluzzi, ha potuto stendere una biografia precisa, soffermandosi sugli aspetti importanti, che poi hanno condizionato anche le scelte architettoniche dell’artista italiano.

Il libro di Giovanna Franco Repellini è corredato inoltre di una serie di fotografie che riescono a rendere l’idea, anche per chi non è stato in Terra Santa, di quanto descritto con parole. Alle immagini si aggiungono le piante e i disegni originali realizzati dal Barluzzi, progetti poi finemente realizzati da tutta una serie di maestranze prevalentemente italiane, con cui il maestro ha collaborato per molti anni: il pittore e scultore Antonio Minghetti, il pittore Pietro D’Achiardi, il multiforme artista Duilio Cambellotti, il decoratore Giulio Bargellini, o l’artista Rodolfo Villani, solo per citarne alcuni, che seguono fedelmente le ispirazioni e le intuizioni del Barluzzi; egli nel progettare gli edifici sacri della Terra Santa non solo tiene conto dei ritrovamenti e delle presenze archeologiche del luogo, ma riesce sempre ad entrare profondamente nella spiritualità evangelica che il luogo stesso richiama, in una perfetta sintesi con l’ambiente circostante.

La vicenda di Antonio Barluzzi, come si capisce dalle righe del testo di Giovanna Repellini, è un caso di vera e propria “vocazione” per il proprio lavoro, una missione, vissuta con umiltà e amore per il Signore. Non a caso fu proprio il confessore di Barluzzi, padre Corrado, davanti alla esplicita richiesta di prendere i voti, a indicare al giovane architetto la strada della missione: “Va’ a fare i santuari”. E Barluzzi non aspettava altro che una simile conferma, nel suo cuore, per poter unire la sua grande fede religiosa all’amore per l’arte, raccogliendo la sfida di tradurre in costruzioni visibili le più alte chiamate fatte da Dio agli uomini. Una storia bella, ma senza lieto fine

Un altro aspetto magnetico della vicenda di questo architetto, con cui alla fine del libro si entra in intimità, quasi fosse un amico di sempre che vive in una città lontana, ma con il quale si condividono passioni e affinità, è la conclusione mesta della sua vita. Dopo aver tanto lavorato, amato e speso di se stesso nella terra del Signore, a Barluzzi restò il grande dispiacere di veder respinto il suo progetto per il grande santuario dell’Annunciazione a Nazareth. Rinviato per motivi legati prima al reperimento di importanti scoperte archeologiche, poi per lo scoppio della Seconda Guerra mondiale e infine per alcune incomprensioni con la Custodia di Terra Santa (incomprensioni che addolorarono moltissimo il nostro protagonista), quel progetto non venne mai realizzato, ma venne affidato all’architetto milanese Giovanni Muzio, che lo rielaborò in forma completamente diversa. Da questa vicenda Barluzzi ricevette un dispiacere così grande, che i suoi familiari credono gli abbia causato un aggravamento di una malattia polmonare già in corso (nel 1958 era rientrato definitivamente a Roma) e poi la morte, il 14 Dicembre 1960.

Ma gli occhi dell’uomo non hanno la capacità di vedere e immaginare quello che verrà anche quando si saranno chiusi per sempre: infatti oggi la spiritualità, il senso del divino e la dedizione di Antonio Barluzzi per quelle opere artistiche nella terra di Gesù sono in grado di parlare, come pietre vive, ai tanti pellegrini che le visitano da ogni parte del mondo.