Istruzione e merito per contrastare la “povertà intergenerazionale”

In questi giorni, il dibattito, politico e pubblico, si è acceso sul tema dell’istruzione e del merito, a iniziare dalla stessa nuova denominazione del dicastero competente: “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Anche durante il discorso programmatico alla Camera per la fiducia, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha evidenziato la polemica sulla scelta del nuovo Governo di “rilanciare la correlazione tra istruzione e merito”, dichiarando: “Rimango francamente colpita. Diversi studi dimostrano come, oggi, chi vive in una famiglia agiata abbia una chance in più per recuperare le lacune di un sistema scolastico appiattito al ribasso, mentre gli studenti dotati di minori risorse vengono danneggiati da un insegnamento che non dovesse premiare il merito, perché quelle lacune non le colmerà nessun altro”, ha dichiarato il Premier Meloni. Ebbene, il Presidente del Consiglio ha ragione.

In effetti, sul tema istruzione e merito, le dichiarazioni di Giorgia Meloni, sono perfettamente in linea con le osservazioni illustrate molto dettagliatamente nel 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”, pubblicato e presentato, in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, da Caritas Italiana, lo scorso lunedì 17 ottobre a Roma. Secondo i dati Caritas, “se è vero che il titolo di studio può favorire l’ascesa sociale è altrettanto vero che l’istruzione può essere a sua volta condizionata dalla situazione ‘di partenza’, quindi subire l’influenza delle origini”.

Per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale – espone il Rapporto – si registrano scarse possibilità di accedere ai livelli superiori, in quanto è sempre più improbabile, per chi nasce alle vette della stratificazione sociale perdere i propri privilegi. Al contrario, per chi parte dalle retrovie diventano sempre più irrealizzabili le prospettive di miglioramento. L’indagine empirica è stata condotta, da marzo a maggio 2022, su un campione statistico di 1.281 beneficiari dei servizi Caritas, di età compresa tra i 36 e i 56 anni (nati, quindi, tra il 1966 e il 1986), di cittadinanza italiana, secondo le linee del campionamento statistico costruito su base regionale (regione ecclesiastica) e stratificato per età e genere, rappresentativo di 24.105 utenti Caritas.

Si è scelto di escludere – secondo quanto riportato – gli assistiti di origine straniera, pur rappresentando mediamente la metà dell’utenza, data la grande eterogeneità delle nazionalità incontrate e che avrebbe reso molto complesso il lavoro di confronto. Ciò che l’analisi mette in luce chiaramente è il grave rilievo che le disuguaglianze sociali divengono, purtroppo, situazioni di povertà ereditaria.

“I dati esaminati dimostrano che il pericolo di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, è di fatto molto alto; il nesso tra condizione di vita degli assistiti Caritas e condizioni di partenza è realmente molto stretto. Il dato si palesa in primo luogo sul fronte dell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E, come visto, sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea (…) Le difficoltà economiche, in certi frangenti, fanno sì che si orientino i figli verso il raggiungimento di un basso titolo di studio per poter andare presto a lavorare, al fine di sostentare il nucleo familiare mentre, nel caso in cui gli studi proseguano fino alla scuola secondaria, la scelta ricade su istituti professionali, ritenendo inutilmente complicati i percorsi liceali di studio”.

Continua l’analisi, “Secondo un recente studio OCSE, ‘A broken social elevator? How to promote socisal mobility‘, per chi proviene da una famiglia povera (collocata, cioè, nell’ultimo decile di reddito) potrebbero servire mediamente 4,5 generazioni per raggiungere un livello di reddito medio; in Italia si sale addirittura a 5 generazioni, dato che risulta superiore ai Paesi Scandinavi ma anche a quelli del Mediterraneo, come Spagna e Grecia, più vicini a noi anche rispetto agli standard di povertà”. Sono dati agghiaccianti, questi evidenziati nel Rapporto Caritas e che sollecitano, non solo doverose riflessioni, ma, soprattutto, che impongono al nuovo Governo di trovare con urgenza soluzioni concrete.

Secondo l’encomiabile studio condotto dalla Caritas, il contrasto della povertà deve essere approcciato non in chiave puramente assistenzialistica, ma “puntare su quei fattori che possono e devono invertire le traiettorie di vita che sembrano in qualche modo già segnate”, nonché attuando politiche sociali ed economiche che favoriscano “una maggiore equità e giustizia sociale, a partire dall’istruzione e/o da approcci che mirino maggiormente all’efficienza dei meccanismi meritocratici”.

La povertà non può essere una condizione ineluttabile, una “condanna” per chi nasce in un contesto disagiato, familiare e sociale. La società civile e democratica ha l’obbligo di garantire a chiunque “le stesse opportunità di accesso a quei servizi e a quegli strumenti utili per migliorare la condizione sociale originaria”.

La povertà educativa è, infatti, strettamente connessa alla mancanza di opportunità, così emerge nel citato Rapporto e “tante delle persone incontrate, non riescono ad uscire dalla loro condizione, perché non hanno conseguito un buon livello di istruzione”.

Pertanto, che ben vengano le dichiarazioni programmatiche del Governo Meloni, in tema di istruzione, merito e pari possibilità, se ciò costituirà un impegno concreto per contrastare la cosiddetta “povertà intergenerazionale”, ossia la povertà di persone che vivono una condizione di precarietà economica, in continuità con la propria famiglia di origine, attuando interventi che vadano oltre gli indispensabili aiuti materiali, in quanto, nel caso delle povertà multigenerazionali, tali rimedi o sussidi “non appaiono sempre risolutivi”.

I giovani hanno tutto il diritto di aspirare ad un futuro migliore dei padri e – come ribadito dal Presidente Meloni, l’istruzione è, certamente “il più formidabile strumento per aumentare la ricchezza di una Nazione, sotto tutti i punti di vista, perché il capitale economico non è niente se non c’è anche il capitale umano”.