L’Europa unita sotto il segno della salute

La salute, intesa come benessere fisico e psichico delle persone, rappresenta un inestimabile bene universale e, al pari della pace, deve essere gelosamente custodita e assicurata in tutti i paesi del mondo. Ci sono organizzazioni internazionali a questo deputate, l’Organizzazione Mondiale della Sanità per la salute e l’ONU per il mantenimento ed il consolidamento della pace nel mondo. Purtroppo i venti di guerra che spirano impetuosi dall’Ucraina ci dicono che la pace come bene universale è gravemente in pericolo e, nonostante gli appelli di molti, primo fra tutti di Papa Francesco, gli inviti alla ragionevolezza, al dialogo e alla convivenza pacifica tra i popoli, rimangono al momento inascoltati.

E’ lecito comunque, come ci ha insegnato a credere e sperare San Paolo “Spes contra spem”, sperare contro ogni ragionevole speranza che la pace possa finalmente essere ristabilita per assicurare a quelle popolazioni così martoriate da mesi di guerra, una ripresa di quella vita normale che mai e poi mai avremmo creduto fosse in discussione in un continente altamente civilizzato e progredito qual è l’Europa. La guerra – non sono certamente io un politologo per dare giudizi di merito – ha per così dire, rinserrato le file dei paesi europei che hanno mostrato una fattiva solidarietà nei confronti dell’Ucraina, che si è concretizzata con l’invio di aiuti umanitari, ma anche di armi. Questa rinnovata unione europea sotto il segno dei contingenti eventi bellici, non deve però far dimenticare che nelle intenzioni dei padri fondatori di questa unione, vi erano, alla base della costituzione dell’Europa, valori universali di pace, collaborazione e sicurezza dei popoli che non mutano nel tempo.

Proprio in nome di questi valori, in un momento altrettanto delicato qual è l’attuale pandemia che morde purtroppo in modo grave l’Europa e la restante parte del mondo, è importante una volta di più ribadire che l’Unione Europea deve trovare una modalità di approccio comune, in termini di solidarietà, anche per quanto attiene agli aspetti sanitari. In questi due anni e mezzo di pandemia abbiamo assistito ad alcune, ancorché significative, iniziative comunitarie che sono andate in questa direzione. Mi riferisco, in particolare, all’acquisizione centralizzata a livello europeo dei vaccini ed alla loro successiva distribuzione tra tutti i paesi membri senza differenze, all’emanazione di procedure comuni (se non proprio identiche almeno molto simili tra loro) di prevenzione per ridurre la diffusione del virus, all’istituzione del COVID-19 certificate, da noi chiamato green pass, che ha regolato gli scambi di persone tra le nazioni. Tutto questo sarebbe stato irrealizzabile qualche decennio fa, quando prevaleva la logica (che si spera tramontata) “dell’Europa della Patrie”; oggi la gravità della situazione pandemica e la diffusione di un comune sentire europeista nella società civile delle diverse nazioni ha permesso l’acquisizione di questi significativi risultati.

Certamente, tutto questo per quanto importante non basta, bisogna infatti far sì che una volta (si spera presto) che la pandemia passerà, non si ritorni ai vecchi egoismi ed alle antiquate logiche di parte, perché in un mondo globalizzato l’Europa, in campo sanitario ma non solo, deve presentarsi veramente unita per essere un attore credibile a livello mondiale. Del resto – sempre la pandemia COVID-19 ce lo ha insegnato – l’unico modo di sperare di vincere la sfida, è quello di coinvolgere il maggior numero possibile di attori, così come ci insegna la scienza, che di sua natura è universale e non settaria. Le guerre e le pandemie sono delle tragedie, non a caso una antica preghiera medievale così recitava “a peste, fame, bello libera nos Domini”, ma nel contempo possono rappresentare dei momenti di straordinaria occasione per riflettere ed indicare la via di una corretta ripartenza, che nella fattispecie deve essere l’Europa unita sotto il segno della salute (oltreché ovviamente della pace).