Dalle periferie al sacro collegio

Il concistoro per la creazione dei nuovi cardinali coinciderà con l’apertura del Sinodo per l’Amazzonia. Segno di attenzione pastorale agli indigeni e al creato, temi su cui ha impostato la sua missione di prete e vescovo di frontiera monsignor Alvaro L. Ramazzini Imeri. “A inizio ottobre ci sarà una riunione con vari vescovi a Città del Messico, per strutturare una Rete Mesoamericana che, sul modello della Rete ecclesiale panamazzonica, opererà per l’ecologia integrale nei nostri Paesi – dichiara al Sir il neo-porporato -. Su questo dobbiamo lavorare molto”. Nell’ovest del Guatemala, al confine con lo Stato messicano del Chiapas c’è la diocesi di Huehuetenango: un milione di fedeli su 1 milione e 200mila abitanti. La guida questo presule di origini italiane nato a Ciudad de Guatemala nel 1947 e ordinato sacerdote nel 1971 per l’arcidiocesi di Guatemala. Ha conseguito il dottorato in diritto canonico alla Pontificia università gregoriana. Nel dicembre 1988 è stato nominato vescovo di San Marcos ed ha ricevuto la consacrazione episcopale a Roma da san Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1989. Ha ricoperto molti incarichi nella Conferenza episcopale del Guatemala, della quale è stato presidente dal 2006 al 2008,  e attualmente presiede la commissione per le comunicazioni sociali e quella per la pastorale penitenziaria. Ha partecipato all’assemblea del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) ad Aparecida nel 2007 e all’assemblea speciale per l’America del Sinodo dei Vescovi nel 1997.

Un Paese in transizione

“Perché il Papa mi abbia scelto è un mistero che solo lui potrebbe risolvere – ha commentato al Sir poco dopo l’annuncio del concistoro del 5 ottobre-. Penso che un significato sia l’attenzione, l’amore pastorale del Papa per il nostro Paese, che soffre di situazioni politiche e sociali così difficili. Penso alle migrazioni, che riguardano molti miei connazionali e molte persone dell’America Centrale. Oggi si vive una situazione complessa, anche per l’atteggiamento di chiusura degli Stati Uniti e, ultimamente, anche del Messico. E poi c’è il tema del riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni, e quello ambientale, dato che in Guatemala esistono ancora vaste zone di foresta da custodire. Si tratta di temi e di scelte molto importanti”. La nomina a cardinale per lui “significa soprattutto più impegno”, perché “mi sento chiamato e obbligato a proseguire nelle mie scelte pastorali: è un’opportunità per dare voce a tante persone dimenticate e povere, di far sentire questa voce, per così dire, vicino al Vaticano”. La scelta del Papa significa anche un’attenzione particolare all’America Centrale.

La lotta alla corruzione

“Ora quasi ogni Paese avrà un cardinale: mancava un cardinale guatemalteco, mentre già c’era in El Salvador, Honduras, Nicaragua e Panama – evidenzia il neo-porporato all’agenzia dei vescovi -. Manca solo la Costa Rica. Si tratta di Paesi piccoli, ma è importante che si senta la voce di questi fedeli”. La sua nomina arriva in un momento di transizione per il Guatemala. L’elezione del nuovo presidente della Repubblica, Alejandro Giammattei, è stata salutata con scetticismo da chi si aspetta reali cambiamenti. “Le speranze ci sono sempre, certo qui esistono dei mali strutturali, che dipendono molto anche dalle scelte dell’economia globale – puntualizza Ramazzini Imeri -. Dobbiamo mantenere viva la speranza e sperare che il governo faccia del suo meglio”. Uno dei temi di cui più si è discusso in Guatemala è quello della corruzione. Il presidente uscente, Jimmy Morales, ha cacciato dal Paese la Cicig, la Commissione anticorruzione promossa in collaborazione con l’Onu. “Per la verità, il nuovo presidente Giammattei ha dichiarato che intende dare vita a una nuova commissione, tutta nazionale. Io, per la verità, non so se potrà funzionare, se potrà operare con la necessaria indipendenza – puntualizza il nuovo cardinale latinoamericano al Sir -. Ma anche in questo caso, bisogna aspettare. E’ difficile parlare di quello che deve ancora accadere”. Ramazzini Imeri ha già criticato l’accordo firmato dal presidente uscente con gli Usa per fare del Guatemala il “tercer Pais seguro”, nel quale gli immigrati potranno attendere la risposta alla loro richiesta di asilo negli Usa. “Ci sono due prospettive incrociate. Da una parte, come Chiesa saremo chiamati a esercitare carità e solidarietà. Ma detto questo, che tipo di sicurezza può offrire oggi il Guatemala?- sottolinea il presule-. Il presidente non ha chiesto consigli ed è andato avanti per la sua strada. Ma non è stata la scelta migliore”.