“Irrealistico”. L’alto rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera, Josep Borrell, ha bollato in modo lapidario la richiesta avanzata da Israele di procedere, in appena 24 ore, all’evacuazione totale di una delle aree più densamente abitate del Pianeta in relazione alla sua estensione territoriale, la Striscia di Gaza. Con particolare riferimento a Gaza City, assediata da ogni lato e da due giorni senza rifornimenti né alimentazione energetica. Un’operazione che contrasta con le richieste delle ultime ore da parte della Comunità internazionale, concorde nel richiedere l’apertura urgente di corridoi umanitari da e per la Striscia di Gaza, così da consentire non solo l’evacuazione dei civili ma anche l’ingresso nel territorio di beni di prima necessità, indispensabili per una regione letteralmente richiusa su sé stessa. In sostanza, il timore immediato a seguito della feroce offensiva di Hamas, stanno prendendo forma di ora in ora. Lo scotto a lungo termine dell’iniziativa violenta dei miliziani sarà ad appannaggio della popolazione palestinese.
L’appello di Terre des Hommes
Alla condanna unanime delle azioni di Hamas, si affianca ora il timore, altrettanto condiviso, che l’escalation possa costare ai cittadini di Gaza City (e della Striscia tutta) un prezzo troppo alto. L’evacuazione dall’area nord è cominciata ma le garanzie per un passaggio sicuro sono praticamente nulle. Anche perché gli esodati sono centinaia di migliaia e la marcia al di là dei confini urbani rischia di trasformarsi via via in una marea umana intrappolata. Perché tornare indietro sarà impossibile, visto il susseguirsi dei bombardamenti. E l’andare avanti incerto, soprattutto in merito ai punti di accoglienza. La piccola comunità cristiana di Gaza ha iniziato ad accogliere famiglie musulmane ma la buona volontà di civili e religiosi potrebbe non bastare.
Nelle scorse ore, Terre des Hommes si è unita all’appello lanciato dalle ong (tra le quali Aoi, Cini e Link2007) affinché l’ordine di evacuazione venga ritirato: “Sostenere le ragioni di questa decisione oggi – scrive – significa lasciare indietro civili innocenti che hanno diritto ad essere protetti. Inclusi i più vulnerabili tra cui anziani, sfollati, degenti, e centinaia di migliaia di bambini”. La richiesta, quindi, è di “bloccare l’operazione annunciata da Israele prima che gli scenari prospettati dagli esponenti del suo Governo, a partire dal Primo Ministro, diventino realtà”.
“A Gaza non esiste un luogo sicuro”
Il problema è che, in parte, tutto questo sta già accadendo. Israele si è dichiarata favorevole ad “aree sicure” per i civili ma, al momento, non sembrano esserci intese ufficiali. Peraltro, Gaza City è tuttora senza alimentazione energetica, con un bilancio di quasi 2 mila morti e col lavoro degli operatori umanitari è celato dietro il velo del blackout generale. In questa situazione, appare quantomeno complicata la gestione di un piano di evacuazione di tale portata da imbastire inoltre in pochissime ore. In questo quadro, garantire gli stessi standard di assistenza validi fin qui risulta quasi impossibile.
Terre des Hommes, ad esempio, opera tra la popolazione palestinese da più di vent’anni, offrendo attività psicosociali, culturali e anche ricreative, tra la Striscia e la Cisgiordania. In particolare con il progetto Ta’Lim Lil’Jami’a, realizzato con un finanziamento europeo e della Uefa Foundation for Children. Attività che, a oggi, devono per forza di cose lasciar posto alle operazioni di risposta all’emergenza totale. Legata in primis alla mancanza dei beni primari: “L’area è sotto incessanti bombardamenti da cinque giorni – precisa TdH -, le strade sono distrutte. A Gaza non esiste un luogo sicuro“.