Gigi Riva, l’italiano in assoluto

Il giornalista sportivo Italo Cucci ricorda, a Interris.it, la figura del fuoriclasse: "Gigi era l'azzurro per eccellenza. Un modello irripetibile"

Gigi Riva
Foto © Daniele Buffa/Image Sport

Con la Coppa del Mondo portata a casa, forse, quel 1970 sarebbe stato letteralmente d’oro per Gigi Riva. Col suo nome iscritto a imperitura memoria sul tabellino del 4-3 alla Germania e la doppietta ai padroni di casa del Messico ai quarti che, di fatto, anticiparono le imprese di Paolo Rossi nell’82. A infrangere il sogno mondiale ci fu il Brasile, forse il più forte di sempre, con Pelé, al canto del cigno, accompagnato da una costellazione di fuoriclasse che raramente si erano visti tutti insieme. Un peccato perché forse, con la Coppa, in Italia sarebbe idealmente tornato un Pallone d’oro. La sublimazione perfetta di una stagione magica, col Cagliari a trionfare in campionato e l’Italia al Mondiale. Ci andò vicino Gigi Riva e mai successo sarebbe stato più giusto.

Riva, il Cagliari cucito addosso

Il calcio di provincia lo aveva già portato in paradiso. Nell’orchestra magistrale di Manlio Scopigno, capace di portare il titolo nazionale, per la prima e unica volta, fuori dallo Stivale. In una Sardegna che, come ricorda a Interris.it il giornalista Italo Cucci, “ha sempre dato tanto alla patria ricevendo poco in cambio”. E forse quello Scudetto fu il giusto premio, per una tradizione calcistica sarda che, ad alti livelli, il Cagliari ha costruito da solo. Con la figura simbolo incarnata in un lombardo prestato all’isola, diventato leggenda cucendosi addosso il rossoblù del Casteddu: “Ho vissuto la sua carriera ritenendolo l’italiano in assoluto – ha ricordato Cucci -. Non aveva maglie impegnative. Quella del Cagliari era bellissima come la Sardegna. E Gigi era l’azzurro per eccellenza. Amato da tutti anche perché non aveva le riserve che Rivera poteva avere al Milan o Mazzola all’Inter”.

L’irripetibile

Identificarsi con Riva era facile. Nella misura in cui lo era approcciare al calcio in quegli anni lì, anche da tifosi. E forse anche perché quel carattere schivo, poco avvezzo alle telecamere e alle ribalte mediatiche, parlava una lingua più vicina a quelle delle masse. Con Riva, l’Italia “perde un modello di italiano che forse non c’è più e lo dico senza retorica. Era forte, gentile, anche eroico secondo i nostri studi liceali, nei quali abbiamo parlato degli eroi omerici. Gianni Brera lo aveva raccontato così quando tirò fuori il ‘rombo di tuono’. Lui fu sempre una persona moderata, serena, molto leale”. Persino nel dolore: “Quando l’austriaco Hof gli spezzò una gamba (il 31 ottobre 1970, ndr), ci rimase male ma disse: ‘Vorrei incontrarlo, sgridarlo e anche dargli una stretta di mano’. Il picchiatore c’era rimasto male anche lui. Ogni tanto va via qualcuno che sembra irripetibile. E credo che Gigi, che tu lo prenda come uomo, calciatore, protagonista, sia stato un modello”.

Ci sarebbe stata quella stretta di mano. Esattamente un anno dopo, nel 1971, con Italia e Austria ancora di fronte e Gigi Riva di nuovo in piedi. Sorridente, come Hof.